Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Primo lungometraggio di fiction per il regista kazako Sergey Dvortsevoy, già noto nei circuiti festivalieri per i suoi documentari. La vicenda del pastore Asa e del suo sogno di possedere un gregge ha commosso Cannes lo scorso anno, ed è valsa al film il premio della sezione Un Certain Regard.
Siamo nella steppa del Kazakistan. Asa ritorna dalla sorella e dal cognato, entrambi pastori, dopo aver portato a termine il servizio militare in marina. alla pastorizia: anche Asa potrebbe fare il pastore ma prima gli viene imposto di sposarsi e di metter su famiglia. La ragazza prescelta e mai conosciuta è Tulpan, figlia di nomadi a sua volta, che però non è interessata al giovane. Anzi, vorrebbe trasferirsi in città.
Passato e tradizione o futuro e modernità? Una terra piena di insidie e le sterminate lande del Kazakistan o il richiamo della città? Questo sembra domandarsi l’autore, il cui amore per il documentario non sembra diminuire. L’impronta stilistica di Dvortsevoy resta autentica. Ogni cosa viene mostrata “in diretta”. Davanti alla macchina da presa accade tutto quello che, secondo il regista, lo spettatore ha bisogno di vedere. La trama è volutamente scarna e l’attenzione ai particolari è minuziosa. E’ un film particolare, con tempi lunghi e ovattati, scanditi da una fotografia ovattata e senza tempo.
Voto 7
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