Noomi, l’eroina di Larsson

Di Carolina Tocci
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Ventinove anni, mamma svedese e papà cantante di flamenco con sangue gitano, Noomi Rapace rappresenta il giusto mix tra sensualità e determinatezza. L’abbiamo incontrata oggi a Roma, in occasione della presentazione del film che la vede protagonista, Uomini che odiano le donne.
Diretto dal regista danese Niels Arden Oplev, il film racconta la vicenda di di Blomkvist (Michael Nyqvist), un giornalista del settimanale Millenium condannato per aver diffamato un potente industriale. Costretto a ritirarsi, Blomkvist decide di investigare sulla misteriosa scomparsa di una ragazza avvenuta quaranta anni prima. Al suo fianco nelle indagini, e non solo, la misteriosa e affascinante Lisbeth. Nella pellicola tratta dal primo volume della trilogia Millennium di Stieg Larsson, Noomi Rapace appare completamente trasformata nei panni di Lisbeth Salander, la hacker bisessuale dall’anima e dagli abiti punk. Un ruolo che le è costato molto interpretare, ma nel quale si è sentita a proprio agio. Ecco perché.

Come ti sei trovata nei panni di Lisbeth? Ha avuto difficoltà ad interpretare un personaggio nato dalla fantasia di uno scrittore?
Credo che nel romanzo Lisbeth venga spesso descritta come un personaggio di un film d’azione, di conseguenza risulta scarsamente realistica. Infatti è una donna piccola e anoressica che poi è capace di correre come un centometrista e di combattere come un uomo. Quello che che ho cercato di fare io, è stato cercare di renderla reale il più possibile. Quindi non troppo magra, ma, al contrario, un po’ mascolina, anche per mantenere quelll’idea della ragazza bruttina ma affascinante. Ho fatto corsi di thai boxe e preso la patente per la moto. Abbiamo voluto mantere tutta la complessità del personaggio ma, al tempo stesso, renderla comprensibile ad uno spettatore che non è detto abbia letto il libro.



Quando si porta sullo schermo un caso letterario come la trilogia di Larsson non si ha una costante paura di disattendere ciò che ogni lettore ha immaginato leggendo il libro?
Sì, ed è per questo che sul set abbiamo deciso di ignorare qualsiasi pressione proviente dall’esterno, poiché sapevamo che non saremmo mai riusciti a soddisfare tutti. Per questo ci siamo concentrati soltanto sul modo che noi, come squadra, ritenevamo migliore per realizzare questo film.

Qual’è il fascino di Lisbeth e come hai vissuto a livello personale la scena della vendetta dopo l’aggressione da parte del tutore?
Penso che alla gente piaccia leggere libri o guardare film sugli “underdog”, sulle persone sottomesse. Lisbeth è una di queste, anche se non rinuncia mai alla lotta, non si autocommisera. Anzi risponde alle violenze, cerca di cambiare le cose. Io credo che Lisbeth combatta costantemente per la sopravvivenza, trovando sempre un modo per tirarsi fuori dalle situazioni, nonostante i maltrattamenti della società, del padre o dei servizi sociali.
Quello che colpisce è che, dopo la violenza del suo tutore, lei non risponde come la maggior parte delle donne che subiscono violenza, ovvero chiudersi in se stesse e odiarsi, ma ribalta la cosa e si va a prendere la sua vendetta, e questo piace a molte donne e anche a molti uomini.
Personalmente sono consapevole che il detto con occhio per occhio, dente per dente non sempre sia considerato giusto. Ma in questo caso, è di forte impatto e di grande soddisfazione per chi assiste alla scena, anche se in effetti è molto cruda.

Come ti sei preparata per diventare Lisbeth?
Ho dovuto fare un lungo lavoro su me stessa. All’inizio, prima che facessi il provino, ero certa che mi avrebbero reputato troppo carina per interpretare Lisbeth. Così ho detto che se mi avrebbero preso mi sarei tagliata i capelli, avrei fatto sport per aumentare la massa muscolare a scapito delle forme, e che mi sarei fatta i piercing. Evidentemente devo averli convinti, se sono qui a parlarne.

Leggi qui la Recensione di Uomini che odiano le donne.

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Carolina Tocci

Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.

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