Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Un regista e la sua musa. Folgorato dalla ricca (arricchita) e annoiata Lena (Cruz), Mateo (Homar) prima la sceglie come protagonista della sua commedia Ragazze e valigie (palesemente specchio di Donne sull’orlo di una crisi di nervi), poi ne diventa amante alle spalle dell’uomo e finanziatore di lei. Quest’ultimo mette alle loro spalle il figlio Diego, gay represso e in grande conflitto col padre, fino all’inaspettato epilogo. Anni dopo, Diego e Mateo si rincontrano: il primo vuole produrre un film sulla loro storia, il secondo è diventato cieco e ha smesso di fare il regista per scrivere sceneggiature e romanzi.
Il presente è solo un pretesto con il quale Almodóvar narra del passato dei propri personaggi, rendendoli un veicolo per raccontare il suo amore per il cinema. Gli abbracci spezzati è il film più autoreferenziale del regista spagnolo, laddove l’autoreferenzialità si fa monumento umile del suo modo di raccontare storie. Tutto ciò che nel film sembra separato dagli eventi e dal caso è in realtà un tutt’uno metatestuale: l’amore, il raccontare, la gelosia, il destino, la scrittura, i segreti, la famiglia. Purtroppo non tutto scorre senza intoppi: l’impressione è che alcuni passaggi siano più ridondanti del dovuto. Un difetto marginale in quello che di sicuro non è il miglior film di Almodóvar, ma uno di quelli in cui si racconta di più.
Voto 7
Appassionato di pop a trecentosessanta gradi, ama il cinema d'evasione, l'animazione e i film che non durino più di due ore.
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