Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
L’indirizzo è lo stesso: 221b di Baker Street. Ma dello Sherlock Holmes che conosciamo rimane poco o niente: si aggira per le strade di una Londra bagnata e cupa, per alcuni versi molto simile a un far west, e in cui la violenza è all’ordine del giorno. Non più un gentleman vittoriano, né un investigatore con il nasone, la pipa e il cappello stile deerstalker che dice: “Elementare!” al suo compagno di (dis)avventure. Insomma, quel che resta di Sherlock Holmes in questo adattamento cinematografico di Guy Ritchie è soltanto il suo proverbiale intuito nelle arti investigative.
Elaborazione del fumetto di Lionel Wilgram, questo Holmes è un dandy arruffato che si traveste e ama fare a pugni, un uomo d’azione più che un topo di biblioteca, praticamente una via di mezzo tra James Bond e Jason Bourne. E Watson (Law) lo segue e lo asseconda. Questa volta i due si trovano ad affrontare Lord Blackwood (interpretato da Mark Strong, già visto in RocknRolla), un satanista che semina il panico in Inghilterra per prenderne il controllo. Nel plot trovano posto anche due personaggi femminili: Irene Adler (Rachel McAdams), l’unica ragazza che è riuscita a tenere testa a Holmes e con il quale ha una tempestosa relazione, e Mary (Kelly Reilly), promessa sposa del Dr. Watson.
Il primo film diretto da Ritchie in cui non ci sono parolacce dura un po’ troppo, e in certi momenti annoia. Robert Downey rende il suo Holmes eccessivamente ammiccante, mentre Jude Law nei panni di un Watson mai così affascinante resiste bene e non stona con il resto della messinscena. Una scelta coraggiosa, quella di ribaltare un mondo amato e conosciuto dai lettori di tutto il mondo, per certi versi anche rassicurante, per tramutarlo in tutt’altro. Almeno quanto il mostrare un Holmes depresso e alcolizzato, rintanato nel suo studio, negli intervalli tra un caso e l’altro. Ma la regia di Ritchie non segue l’azzardo delle sue intenzioni e ripete quei trucchetti di accelerazione temporale ampiamente visti, che dai tempi di The Snatch rappresentano un po’ il suo marchio di fabbrica. E che è decisamente il caso di aggiornare.
Voto 6
Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.
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