Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Con questo film Avati conclude la sua trilogia sulla paternità, iniziata con La cena per farli conoscere, in cui dominava la figura di un padre assente (Diego Abatantuono), e proseguita con Il papà di Giovanna, con un Silvio Orlando genitore iperprotettivo. Ne Il figlio più piccolo, il regista emiliano dipinge il ritratto di un padre vile, che sfrutta l’affetto di un figlio tradito e abbandonato, solo per raggiungere i propri scopi.
Luciano Baietti (così si chiama l’infame interpretato da Christian De Sica, che una volta tanto esce dalla scatola del cinepanettone natalizio) è un imprenditore ambizioso che nel giorno stesso in cui sposa la donna da cui ha avuto due figli (Laura Morante), scompare con un eccentrico contabile (un Luca Zingaretti ai massimi livelli). I due compari, prima di sparire nel nulla, sottraggono a Fiamma tutti i suoi beni immobili, lasciandola al verde e con due bambini da crescere. Diciotto anni dopo ritroviamo Luciano al vertice della Baietti Enterprise, un’affermata società immobiliare fondata sulle truffe esui ricatti, affiancato dallo stesso contabile e squalo della finanza con cui era entrato in società anni prima. Così alla vigilia delle seconde nozze con una facoltosa romana politicamente in vista, Luciano, che ormai è vicino al collasso economico tenta il colpaccio: richiama la sua prima moglie e invita alle nozze il suo figlio più piccolo, Baldo, uno studente del Dams amante dei film splatter, per lasciargli il suo impero ormai prossimo al fallimento.
Le doti di Avati come regista di attori vengono ampiamente confermate nel suo quarantesimo lungometraggio. Qui Pupi regala ancora una volta al suo pubblico dei miniritratti accurati e minuziosi dei personaggi, che sono la vera essenza di di questo film. Un film in cui si ride, ma a denti stretti. Lo stile che da sempre caratterizza l’operato del regista emiliano, fatto di scene brevi, ne Il figlio più piccolo viene caricato da attori macchiette che incarnano i vizi (troppi) e le virtù (sempre meno) di un’Italia che si arrangiaa trovare un equilibrio, sia esso lavorativo o familiare, con i mezzi che ha a disposizione, spesso scorretti. Da sempre abile narratore, Avati questa volta ha uno sguardo disincantato e meno candido del solito, quasi a voler suggerire quanto ormai sia impossibile sottrarsi dal guardare a una realtà fatta per lo più di soprusi e mezzucci, corrotta fino al midollo.
Voto 7
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