Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Se è vero che i personaggi dei videogiochi sono diventati, per il cinema, una fonte dalla quale attingere più interessante di quella dei supereroi, non ci stupisce che la Disney e Jerry Bruckheimer (Pirati dei Caraibi) abbiano deciso di produrre questo Prince of Persia. Tra le saghe più longeve di sempre, con uscite che coprono tre decenni di storia dei videogame, quella del principe persiano regala a Hollywood un canovaccio dal quale creare un film d’avventura, con ottime probabilità di trasformarsi in una serie di blockbuster da sala. La produzione è a livelli altissimi, e la scelta di Jake Gyllenhaal nel ruolo del protagonista è sufficientemente insolita e vincente per destare l’interesse anche di chi non sa nulla di joypad e console.
Dastan (Gyllenhaal) è il figlio adottivo del re di Persia. Cresce come valoroso guerriero alla corte del padre, fin quando non deve affrontare insieme con i fratelli la missione più pericolosa della propria vita: recarsi nella città santa di Alamut e scovare delle armi nascoste da nemici della Persia per sovvertire il regno del padre. Durante il viaggio, Dastan troverà uno strano pugnale in grado di manipolare il tempo, ma anche una sida ben più stimolante: conquistare il cuore di Tamina (Arterton), la principessa di Alamut.
Abituati ad anni di film di serie B basati su franchise interattivi, siamo piacevolmente stupiti dalla sforzo produttivo infuso in Prince of Persia. Alcune scene d’azione sono davvero spettacolari, ma alla fine permane la sensazione che il film non abbia troppa struttura né anima. Si tratta sostanzialmente di sequenze ad alta tensione messe insieme senza troppa soluzione di continuità, cercando di prediligere sempre la spettacolarità alla sostanza. La trama sfugge via, e la mancanza di poter controllare il protagonista come in un videogioco rende tutto più frustrante. Newell, dal canto suo, come ci aveva già dimostrato in Harry Potter e il calice di fuoco, è abile nell’incollare lo spettatore allo schermo, ma non riesce in alcun modo a tenere alta la sua soglia d’attenzione. Peccato. I videogiocatori (e non solo loro) possono aspettare la prossima partita.
Voto 5
Appassionato di pop a trecentosessanta gradi, ama il cinema d'evasione, l'animazione e i film che non durino più di due ore.
Viaggio di sola andata per l’oriente, con bonus di oltre vent’anni di onorata carriera nei videogiochi.
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