Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
La giovane hacker Lisbeth Salander giace in un letto d’ospedale, ma questa volta non sono le cinghie di cuoio a costringerla, bensì una pallottola alla tempia ricevuta durante lo scontro con Zala. Oramai Lisbeth è una minaccia: è tutto racchiuso nel suo passato che, una volta scoperto, può far crollare potenti organismi segreti proprio come un castello di carta. La cospirazione in cui si trova suo malgrado è iniziata in un manicomio, quando Lisbeth aveva solo dodici anni, e va avanti senza pietà. Nel frattempo il giornalista Mikael Blomkvist è riuscito a sapere qualcosa in più sul terribile passato della ragazza ed è deciso a pubblicare un articolo di denuncia sulla rivista Millennium, pronto a far tremare i servizi di sicurezza e l’intero governo.
Siamo alle battute finali di una vicenda che ha tenuto incollati gli occhi di milioni di lettori sulle avvincenti pagine scritte da Stieg Larsson nella trilogia Millennium. Ma se nei primi due episodi si era mantenuto inalterato il ritmo narrativo raggiunto dall’autore svedese nei romanzi, in quest’ultimo film il castello di carte è definitivamente crollato. Il regista Daniel Alfredson, che aveva già diretto La ragazza che giocava con il fuoco questa volta ha avuto a che fare con del materiale sicuramente meno cinematografico rispetto al film precedente, dunque questo terzo episodio risulta essere il meno riuscito della trilogia. La tensione è ridotta al minimo e la storia viene sviluppata in modo eccessivamente televisivo, tanto da risultare noiosa e monocorde. Il processo finale, che occupa una buona metà della pellicola, sfinisce definitivamente lo spettatore, già stanco dopo un primo tempo agonizzante. L’unico elemento che non appare sottotono è la protagonista femminile, Noomi Rapace. La sua Lisbeth Salander qui è ancora più nerd, con tanto di cresta e abbigliamento più dark del solito. Ma nemmeno la sua interpretazione è sufficiente a riempire due ore e mezza di asfittismo narrativo.
Voto 4
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