Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Ci siamo: la saga cinematografica che ha segnato lo scorso decennio è arrivata all’inizio della fine. Dopo aver lasciato orfani milioni di lettori, Harry Potter si appresta a dire addio anche al Grande Schermo, con un finalone spalmato su due film. La scelta potrà sembrare commerciale ai più, e di sicuro l’idea di raddoppiare il costo del biglietto non è apparsa del tutto malvagia a Warner Bros. Tuttavia, basta osservare la prima mezz’ora di questo I Doni della Morte Parte 1 per comprendere la precisa scelta di campo compiuta dal regista David Yates (padre dei Potter cinematografici dal quinto capitolo) e dallo sceneggiatore Steve Kloves. Quest’ultimo, va detto, alle prese con un’opera di traduzione da un romanzo discusso e complesso. Quando J.K. Rowling diede in pasto ai lettori l’ultimo tomo della serie, li sconvolse con centinaia di pagine di azione, ma anche tempi diradati e stravolgimenti nell’atmosfera che li aveva accompagnati in tutti gli altri libri.
In tutto Harry Potter e i Doni della Morte non compare mai la Scuola di Magia di Hogwarts, per dirne una: quel mondo fatato e visivamente splendido che aveva reso i primi due film tra i capolavori di Chris Columbus, e che aveva messo alla prova l’insolita scelta di Alfonso Cuarón come regista del Prigioniero di Azkaban. Yates era apparso sin dall’Ordine della Fenice molto più ossessionato dalla trama, e dal timore di dispiacere i fan condensando in poco più di due ore una quantità di personaggi, indizi e sottotrame che avrebbe richiesto molto più tempo. E così, entrambi i suoi film, dove più dove meno, avevano sofferto della sindrome da riassunto. Per l’ultima puntata, la scelta è stata evidentemente quella di non badare alla compressione, ma anzi arricchire e tratteggiare in modo più definito il mondo in decadenza e in guerra, che Rowling ci aveva descritto con tanta minuzia.
Ecco spiegata la scelta di spezzare la storia in due film: una scelta in totale controtendenza rispetto al passato. Yates invita i potteriani a sedersi e a guardare tradotto in immagini tutto ciò che hanno trovato nel settimo libro della loro serie preferita, senza risparmiarsi in qualche sequenza di “interpretazione” della psicologia dei personaggi (il flirt tra Harry e Hermione, ad esempio, che seppur forzato viene inserito con una certa logica per spiegare i tormenti di Ron), o in sorprese come la splendida sequenza della favola dei Doni della Morte (narrata in animazione). Il problema, e qui torniamo alla scelta di campo, è che chiunque non sia un fan accanito dell’opera nella sua complessità è totalmente tagliato fuori dalla fruizione di questo film. Ma sinceramente: chi può pretendere di vedere la prima parte del settimo capitolo di una serie che va avanti da anni, e godersi al meglio la trama senza conoscere più che bene tutto ciò che ci ha portato fin qui?
Chi scrive è un fan di Harry Potter della prima ora, ed è rimasto semplicemente deliziato dalla minuziosità di Yates. D’altronde, la storia già narrata dal libro lasciava presagire tempi morti e lungaggini: il Mondo della Magia è definitivamente in guerra, Mangiamorte devoti al Signore Oscuro Voldemort contro l’Ordine della Fenice e i giusti fedeli ancora al ricordo di Albus Silente. Voldemort, che sa che la profezia prevede che Harry sarà l’unico a poterlo uccidere, e che uno di loro morirà nello scontro, manda i suoi a braccare il ragazzo, in viaggio con i fedeli Ron e Hermione alla ricerca degli Horcrux mancanti. Questi oggetti, nascosti chissà dove, racchiudono parti dell’anima del Signore Oscuro. Solo distruggendoli tutti, Harry potrà eliminarlo. I tre hanno pochissimi indizi e altrettanto pochi oggetti, donati loro da Silente, per trovare gli Horcrux. Inizia così un viaggio lungo e pericolosissimo, che li porterà piano piano a svelare tutti i segreti e i misteri irrisolti accumulati nel corso della storia.
Laddove Yates era stato costretto a tagliare e ridurre lo spazio dato ai personaggi e agli eventi degli scorsi due capitoli, spesso tonfando clamorosamente, qui ci troviamo di fronte a situazioni che per chi aveva visto solamente i film non sembravano poi così importanti. Quello che si può rimproverare una volta trovatisi di fronte all’opera (quasi) omnia della saga cinematografica è che non c’è traccia di omogeneità né una continuity convincente. Del resto, i registi sono stati ben quattro e lo stesso Yates è letteralmente diventato un altro cineasta rispetto all’esordio. Se si supera questo, e se si accetta il fatto che I Doni della Morte è decisamente un regalo ai fan più intransigenti, ci si trova di fronte a un film che traduce alla perfezione le non facili parole dell’autrice del romanzo. Un film con una fotografia straordinaria, recitato esattamente come avrebbe dovuto essere, e finalmente autenticamente e innegabilmente epico. Epico, non fantasy: Harry Potter (fortunatamente) non è Il Signore degli Anelli. Dovremmo davvero penalizzare un film perché, preso da solo, non ha praticamente senso di esistere? Non è lo scopo di questa Parte 1, com’è facile intuire. E non fosse altro che per la loro (nostra) devozione, arrivati al finale i fan di Harry Potter meritavano il meglio: l’hanno avuto.
Voto 8
Appassionato di pop a trecentosessanta gradi, ama il cinema d'evasione, l'animazione e i film che non durino più di due ore.
Recensito l’inizio della fine: la resa dei conti tra Harry Potter e Voldemort, in un film pensato per i fan.
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