Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Dopo la morte di suo padre Re Giorgio V (Michael Gambon) e l’abdicazione di suo fratello Edoardo VIII (Guy Pearce), Bertie (Colin Firth), che soffre sin da piccolo di una grave forma di balbuzie, viene incoronato Re Giorgio VI d’Inghilterra. Con il suo paese sull’orlo della II Guerra Mondiale e l’affermazione della radio come mezzo di comunicazione sempre più diffuso, sua moglie Elisabetta (Helena Bonham Carter), la futura Regina Madre, organizza al marito un incontro con un eccentrico logopedista dai metodi poco ortodossi (Geoffrey Rush). Dopo un inizio burrascoso, tra i due si instaurerà un legame che andrà ben oltre le aspettative iniziali.
La balbuzie di Bertie viene fatta rivivere intensamente negli spettatori con un processo identificativo che funziona perfettamente. Il futuro Re d’Inghilterra incute una tenerezza disarmante, azzoppato com’è in una delle qualità a lui più necessarie. E Colin Firth è qui alla sua migliore prova d’attore (paragonabile solo allo straziante George Falconer di A Single Man), anche se si trova a fare i conti con Geoffrey Rush, eccezionale come al solito, in un ruolo più misurato e meno da mattatore rispetto a quelli in cui siamo abituati a vederlo. A completare questo azzeccato terzetto attoriale, c’è Helena Bonham Carter, sfuggita per un istante dai personaggi mostruosi in cui la imprigiona sempre più spesso suo marito Burton, qui alle prese con il ruolo garbato e sensibile della futura Regina Madre.
Il regista britannico Tom Hooper si dimostra bravissimo nell’equilibrare due elementi fondamentali nella riuscita del suo film: l’amicizia in grado di superare ogni barriera sociale e la possibilità di riscatto di un uomo di potere, attraverso un percorso che non prevede sconti di sorta. Il dramma di Bertie è messo in relazionae con quello storico dell’avvicinarsi della II Guerra Mondiale, nell’Europa sempre più stretta dalla morsa di Hitler (guardacaso astuto sfruttatore del mezzo radiofonico, attraverso il quale “incantava” le folle). Ottimo lo spunto (coincidenza, lo sceneggiatore del film David Seidler da piccolo soffriva di balbuzie) anche se la pellicola risente di qualche calo di tensione nel corpo centrale della narrazione e di un po’ di caratterizzazione in più nel delineare alcuni personaggi (nel film manca la figura del cattivo nel senso più stretto del termine). Quindici milioni di dollari sapientemente spesi (una cifra davvero poco consistente, dato che si tratta di un film in costume), un Golden Globe appena vinto da Firth e il toto Oscar che lo vede tra i super favoriti. Il discorso del re è di fatto un film da vedere.
Voto 7
Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.
Un duca balbuziente che non vuole diventare re e un’amicizia che supera ogni barriera sociale.
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