Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Ormai è appurato, sono le ossessioni a tenere in vita il cinema di Darren Aronofsky, da Pi: Il teorema del delirio in cui il regista metteva in scena la disperata ricerca da parte di un matematico della chiave dell’esistenza, il codice da cui tutto nasce e tutto finisce, al più recente e onirico The Fountain, dove il fine ultimo che giustifica l’ossessione è trovare la cura per salvare il personaggio interpretato da Rachel Weisz, in fin di vita. Dopo il successo del tumefatto wrestler Mickey Rourke con la storia di un corpo ormai in decadimento torturato e barbaramente aggredito da chi lo abita, Aronofsky adesso racconta un altro corpo, questa volta giovane e perfetto, ma non meno votato alla follia e al sacrificio estremo.
Ennesima vicenda di un personaggio in crisi legato a ossessioni accecanti che sfociano in stati allucinatori, Il cigno nero racconta la storia di Nina (Natalie Portman), ballerina in una compagnia di New York la cui esistenza è completamente assorbita dall’arte cui si dedica. Nina vive insieme con la madre, anche lei ex ballerina (la straordinaria Barbara Hershey), che sostiene fortemente l’ambizione professionale della figlia. Quando il direttore artistico Thomas Leroy (Vincent Cassel) decide di rimpiazzare la prima ballerina Beth MacIntyre (Winona Ryder) per la produzione che apre la nuova stagione, Il lago dei cigni, Nina è la sua prima scelta. Ma la ragazza ha una concorrente: Lily (Mila Kunis). Per il balletto di Cajkovskij c’è bisogno di una ballerina che possa interpretare il Cigno bianco con grazia e innocenza, ma anche il Cigno nero, più ammaliante e sensuale. Tra le due ragazze nasce un’amicizia torbida, mentre Nina inizia a perdere il senso di ciò che è reale, confondendo sempre più frequentemente il vero e l’illusorio.
Con cinque nomination agli Oscar tra cui Miglior Film, Miglior Regia e Migliore Attrice Protagonista per Natalie Portman, già vincitrice di un Golden Globe, Il cigno nero è comunque un film che ha nella contraddizione il suo punto di forza più solido. La trama è elementare, a tratti esile, in alcuni punti quasi irritante per l’eccessiva semplicità, drasticamente contrapposta alla complessità psicologica dei personaggi e dei rapporti che si instaurano tra loro. Il ritmo della telecamera di Aronofsky, ossessivamente incollata alla sua protagonista, è scandito dalla paranoia con cui il regista riesce a rendere la dicotomia tra reale e immaginario, tra speranza e incubo, tra ordine e caos. La potenza espressiva di queste immagini ha un impatto dirompente sul piano visivo.
Evanescente e allo stesso tempo tanto carnale nell’evidenziare i dettagli del corpo di Nina mentre cambia soggiogata dalle sue stesse ossessioni, Black Swan fa dell’azione frammentata e del montaggio (altra categoria per cui il film è stato nominato ai prossimi Oscar) il filo conduttore attraverso cui la vicenda distorta di un essere disposto a tutto pur di superare i propri limiti si scontra con una fallibilità ontologicamente e drammaticamente reale. La suggestiva colonna sonora di Clint Mansell articola e sottolinea i momenti nevralgici e significativi della pellicola, rendendoli ancora più efficaci. Con Il cigno nero Aronofsky realizza un vero e proprio film di genere e si conferma il James Joyce delle immagini. Le sequenze dei balletti così come quelle più anguste girate nell’appartamento che Nina divide con sua madre scorrono impetuose (e impietose) come un fiume in piena, tumultuoso e soggiogante, con il fine ultimo di rimanere bene impresse negli occhi e nella pancia.
Voto 7,5
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