Il rito

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Il giovane Michael Kovak (Colin O’Donoghue) è da sempre in stretto contatto con la morte, aiutando il padre (Rutger Hauer) nell’impresa funebre di famiglia. Per fuggire da quella tetra realtà e avere la possibilità di studiare gratuitamente, Michael entra in seminario, pur non avendo una vera e propria vocazione. Dopo quattro anni, alla vigilia dell’ordinazione a sacerdote, il ragazzo è pronto a rassegnare le dimissioni e ad uscire dal seminario per mancanza di fede. Ma proprio quando è in procinto di abbandonare tutto, riceve una proposta: partecipare a un corso di esorcismo a Roma nell’ambito di un nuovo programma del Vaticano. Benché ancora poco convinto, Michael accetta. L’approccio con il corso non è dei migliori, dato che Michael non crede alla realtà degli esorcismi. Padre Xavier, che tiene il corso, lo spinge così a conoscere un esperto esorcista Padre Lucas (Anthony Hopkins). Sarà con questo stravagante esorcista gallese che Michael inizierà a rivedere le proprie convinzioni.



Ennesimo capitolo di un filone intramontabile e senza fine, Il rito è però destinato a pardersi nel calderone dei film sugli esorcismi. Lontano anni luce dalle pellicole che hanno definito e creato il genere, il film tenta di seguire le tracce dei maestri che hanno portato al cinema il maligno, da William Friedkin (L’esorcista) a Roman Polansky (Rosemary’s Baby), passando per Richard Donner (Omen). Dopo un inizio promettente e realistico, la regia di Håfström (già  autore di Evil: Il ribelle, candidato all’Oscar come Miglior Film Straniero nel 2004) inizia ad andare alla disperata ricerca di originalità, ma con scarsi risultati. Intento a ricordare allo spettatore che la presenza del male si può insinuare in ogni momento nel quotidiano, Håfström cerca di arricchire le atmosfere con espedienti e trucchetti largamente sfruttati dal genere: urla disumane, flashback dominati da tinte cerulee, ossa che scricchiolano e porte che cigolano. Ambientato per gran parte a Roma (interessante la dicotomia tra le scene con caotici ingorghi di traffico alternate a quelle dense di silenzi e sacralità degli edifici Vaticani), Il rito ripropone Anthony Hopkins in un personaggio circondato dal male. Sono lontani i tempi del Dottor Lecter, il cannibale de Il silenzio degli innocenti, e qui l’attore ci offre una prova dignitosa (anche quando parla in italiano) ma difficilmente memorabile. Non male invece il protagonista Colin O’Donoghue che al suo primo film è riuscito a costruire un personaggio credibile che ha nello scetticismo il suo punto di forza. Tra gli attori noterete la presenza discreta di Maria Grazia Cucinotta, accanto a quella molto meno contenuta di Marta Gastini, nei panni di una ragazza in procinto di essere esorcizzata.

Voto 5

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Carolina Tocci

Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.

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