Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Prima di iniziare a leggere è bene che i fan più dogmatici e intransigenti dell’indagatore dell’incubo ideato da Tiziano Sclavi sappiano che andando a vedere questo Dylan Dog troveranno poco o niente del loro eroe. Basta saperlo, basta essere onesti. Invece il regista Kevin Munroe (il cui film più riuscito, nonché l’unico, sembra essere TMNT, Teenage Mutant Ninja Turtles, che comunqe rispetto a Dylan Dog è da candidatura agli Oscar) e gli sceneggiatori Thomas Dean Donnelly e Joshua Oppenheimer hanno promesso assoluta fedeltà al nucleo centrale del fumetto, a parte i cambiamenti necessari per adattare la vicenda con lo scopo di realizzare un film che fosse allettante per il pubblico americano. Così, fatta eccezione per alcuni marchi di fabbrica, dalla casa di Dylan in Rue Craven (non Road, perché gli sceneggiatori hanno preferito New Orleans alla Londra fumosa descritta da Sclavi) alla fedele macchina, il mitico maggioline sgangherato (che nel film però è nero e non bianco, perché dopo Herbie, il monopolio dei Maggiolini bianchi al cinema appartiene alla Disney), passando per l’imprecazione più ricorrente di Dog, “Giuda ballerino” (questa arrivata così com’è, senza compromessi), il resto è un altro film, e anche di basso livello.
Brandon Routh (Superman Returns) è Dylan Dog il detective che, stufo di zombie e vampiri, ha riposto nell’armadio giacca nera e camicia rossa e ha deciso di dedicarsi a casi meno impegnativi. Un giorno bussa alla sua porta la bionda Elizabeth (Anita Briem), in cerca di aiuto per scoprire chi ha brutalmente ucciso suo padre. Dylan non ci mette molto a capire di avere di nuovo a che fare con qualcosa di sovrannaturale. In un primo momento, cerca di rifiutare il caso ma quando il suo migliore amico Marcus (Sam Huntington) viene ucciso, si vede costretto ad accettare l’incarico.
Avete presente Brandon Routh? La sua faccia priva di qualunque espressione, gli occhi che sembrano fissare il vuoto, il fisico palestrato e per l’occasione anche depilato ad arte? Che cosa c’entri con Dylan Dog lo può sapere solo colui che lo ha scelto per questo ruolo. A noi tutto ciò sfugge. Così come ci sfugge scelta dei comprimari: la biondina sola e in pericolo, di una vacuità sconcertante, con cui Dylan si accompagna per tutto il film e il suo assistente (che non è Groucho Marx) Marcus Adams. E anche su questa scelta c’è il peso del compromesso: la produzione scopre che la figura di Groucho Marx è di proprietà di una società a cui è stata concessa la licenza. Alla richiesta di poter fare un film che includa un personaggio con baffi e occhialini la società chiede ai produttori del film una tale somma di denaro che alla fine si decide di rinunciare (anche) a Groucho. Ecco spiegata la nascita di Marcus.
Per non parlare della sceneggiatura che scopiazza Underworld, Buffy, Constantine, e quasi tutti i prodotti usciti negli ultimi anni al cinema e in TV in cui compaiono vampiri e licantropi (forse giusto dalla saga di Twilight non è stato preso nulla in prestito). Effetti speciali da mettersi a piangere per la disperazione e battute che non fanno ridere (anzi), più che altro concentrate nel copione di Sam Huntington, concludono questa devastante recensione. Al grido di “rivogliamo Bava e il suo Dellamorte Dellamore” ricordiamo anche che i diritti cinematografici sul personaggio Dylan Dog sono stati acquistati da Platinum Studios nel 1997, e che non c’è stata l’ombra di un italiano che in questi anni abbia tentato di ricomprarli, credendo nella realizzazione di un film che avrebbe potuto far parte della storia del nostro cinema. Resta il fatto che a ottobre il fumetto di Sclavi compirà venticinque anni, e sinceramente non riusciamo ad immaginare un modo peggiore per festeggiarlo che l’aver realizzato una simile bruttura.
Voto 2
Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.
Cronaca di un disastro annunciato. Più che sull’indagatore dell’incubo, un film da incubo e basta.
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