The Conspirator

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I conservatori lo definiscono un “commie” (comunista), e Robert Redford risponde: “Non sono di sinistra, sono solo una persona interessata alla salute del proprio paese”. Da sempre impegnato su più fronti (dall’ambientalismo all’esigenza di creare una realtà cinematografica indipendente e parallela a quella mainstream), Redford ha lanciato prioprio ieri a Cannes la sua ultima sfida. In occasione del Lions, il festival internazionale della pubblicità, l’attore e regista americano ha annunciato una partnership con Yahoo! a sostegno del nuovo cinema. Lo scopo è quello di promuovere e distribuire via internet film e cortometraggi realizzati dalla sua Sundance Foundation.



Questa introduzione ha una sua rilevanza nel giudizio dell’ultimo film realizzato da Redford, il suo ottavo da regista. The Conspirator negli Stati Uniti è uscito a metà a prile ed è stato accolto tiepidamente, come spesso accade per i film siglati dalla doppia R. E’ successo con Leoni per agnelli quattro anni fa (in quel caso il giudizio dei critici americani aveva evidenziato come il film si riducesse, in fondo, a una denuncia un po’ troppo logorroica dei misfatti americani in Afghanistan, e più in generale fosse una riflessione poco sfumata sulla manipolazione mediatica e sulle responsabilità individuali) ed è accaduto di nuovo ora, con The Conspirator. Siamo nella primavera del 1865 e la Guerra Civile americana si è appena conclusa. Sette uomini e una donna sono stati arrestati con l’accusa di far parte di un gruppo di cospiratori che ha organizzato l’assassinio del Presidente Abramo Lincoln, del Vice-Presidente e del Segretario di Stato avvenuti durante una rappresentazione teatrale. L’avvocato fresco di toga Frederick Aiken (James McAvoy), nordista e riluttante, accetta di difendere davanti a un tribunale militare, Mary Surratt (Robin Wright), la tenutaria della pensione in cui suo figlio John Surratt e gli altri hanno pianificato l’attentato. Il 7 luglio 1865. Mary Surratt fu impiccata: è stata la prima donna condannata a morte negli Stati Uniti, a seguito della sentenza di un tribunale militare che la giudicò colpevole di complicità con gli assassini.

Redford utilizza questa nota a piè di pagina nel grande libro della storia americana per sollevare interrogativi scomodi e tristemente attuali (anche per quanto riguarda la scena politica italiana): è giusto che un civile venga processato da un tribunale militare, senza una giuria? E ancora, è giusto che in alcuni casi reputati “particolari” le garanzie della costituzione vengano messe da parte? Naturalmente Redford conosce perfettamente le risposte a queste domande e spinge lo spettatore a fare le proprie riflessioni, aiutato da un cast di attori validissimi (su tutti spicca un talentuoso James Mc Avoy, maturo al punto giusto da affrontare un personaggio che nel corso della storia cambia completamente punto di vista). Sarà per la distanza temporale o forse per il tema dei diritti umani da sempre particolarmente caro al regista, ma The Conspirator colpisce nel segno. Redford ha il pieno controllo narrativo della vicenda, tratta la storia di Mary Surratt e ciò che le sta intorno con un distacco che si rivela funzionale all’aspetto sociale che intende sottolineare nel suo lavoro. Un film perfetto nella forma e stuzzicante nella sostanza, che forse pecca solo per l’eccessiva lentezza di alcuni snodi narrativi. The Conspirator è il prodotto di un modo di fare cinema che sta scomparendo: rigoroso, impegnato; nonché l’ennesima prova che Redford non si pone alcun problema nell’affondare il suo impietoso giudizio sulle norme non scritte su cui si fonda il sistema americano, un sistema spesso privo di scrupoli pronto a condannare un innocente pur di placare la sete di giustizia di un popolo in cerca di stabilità. Ora come allora.

Voto 8

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Carolina Tocci

Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.

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