Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Ve lo diciamo subito: Transformers 3 è meglio del secondo film della saga, ma peggio del primo. Ad essersi dichiarato insoddisfatto de La vendetta del caduto era stato proprio il regista Michael Bay, che ora con questo terzo capitolo ha avuto modo di riscattarsi agli occhi dei fan, dedicando budget e forze solo a ciò che gli riesce meglio: stupire visivamente senza tante chiacchiere. La storia? Un dettaglio. I dialoghi? Anche. Bay non è Robert Altman, né Tarantino e dei dialoghi non sa cosa farsene. Quasi quasi gli danno fastidio anche i personaggi in carne e ossa (forse l’unica di cui riesce a sopportare la presenza è la nuova arrivata Rosie Huntington-Whiteley, il motivo lo immaginate da soli), ma un film di soli robot rischiava di essere troppo anche per il suo pubblico. Siamo ormai giunti al terzo capitolo (quello finale?) della guerra tra Autobot (i buoni), guidati da Optimum Prime, e Decepticon (i cattivi), capitanati da Megatron che si affrontano sul nostro pianeta (Chicago è la città presecelta dopo la Los Angeles del primo episodio e l’Egitto del secondo) senza esclusione di colpi. Questa volta lo spunto per la vicenda viene preso dal passato, ossia dal “vero” motivo per cui l’uomo è andato sulla Luna. Ritroviamo il giovane e disoccupato Sam Witwicky (Shia LaBeouf) con la sua nuova fiamma Carlie (la Huntington-Whiteley di cui sopra, al posto della bruna Megan Fox che Bay congeda in malo modo con una battuta: “Non ci piaceva, era cattiva” dicono a un tratto i due Transformers domestici di Sam) che dovranno salvare il mondo, tanto per cambiare.
Michael Bay si cita addosso, per dirla alla Woody Allen, e in più di una scena è evidente quanto ami ricordarci di aver diretto polpettoni sguazzanti in salsa patriottica a buon mercato come Armageddon o Pearl Harbour, fastidiosamente intrisi di retorica ma visivamente ineccepibili. Il più ridondante in Transformers 3 è Optimus Prime, robottone saccente che miete più vittime con le sentenze che spara che con le potenti armi di cui è dotato. Ogni tanto si vede una bandiera americana che sventola appesa a qualche palazzo, ma più che infastidire, quasi rassicura.Ma veniamo al sodo, che per Bay è il sovraccarico di stimoli visivi a cui ama sottoporre gli spettatori. Il regista americano adora stordirci con la sua follia visiva e non si pone minimamente il problema di inserire elementi esagerati o ai limiti del ridicolo. Le superfici metalliche di cui si compongono i suoi robot e le circostanze estreme nelle quali adora far precipitare i personaggi sorreggono Transformers 3: letteralmente. Una scena in particolare, ambientata in un grattacielo in procinto di crollare sotto l’attacco dei Decepticon, è sufficiente a capire la grandezza di Bay nell’immaginare situazioni assurde e nel renderle contestualmente credibili. Così lo schermo si riempie di fantasmagorie digitali, scene madri, combattimenti, esplosioni, americanate varie condite da coprotagoniste bellissime, inespressive e, preferibilmente, incapaci a recitare ma che trovano comunque un modo per riempire l’inquadratura.
E poi c’è il capitolo 3D. Transformers 3 merita di essere visto con gli occhialini perché di fatto è il primo film a utilizzare realmente questa tecnologia (per avere un riferimento, pensate che Avatar è stato girato interamente davanti a un green screen, mentre le ambientazioni di Bay sono davvero esistenti). Dark of the Moon è stato realizzato al 60% in 3D nativo, al 15% in digitale, con inquadrature a cui è stata aggiunta la terza dimensione in fase di postproduzione, e per il resto, udite udite, in pellicola (utilizzata soprattutto per i frequenti primi piani dei protagonisti). La tecnologia 3D, che in alcuni punti avrebbe potuto arrancare dietro alle caratteristiche sincopate dell’intreccio che richiedevano un montaggio particolarmente serrato, è stata perfetamente gestita da Bay. Certo, ha dovuto rallentare un po’ alcune scene, rinunciando ai carrelli troppo veloci che ama tanto per ottenere un risultato visivamente migliore, ma ha funzionato. La nuova frontiera della stereoscopia è stata tracciata, e attende, a questo punto, di essere superata. Lo spettacolo di Transformers 3 si limita a questo aspetto, sta a voi decidere se sia sufficiente o meno per trascorrere una serata. Comunque aveva ragione Alberto Sordi quando diceva che “Gli americani so’ forti”. E Bay è uno di questi.
Voto 6
Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.
Michael Bay non ha limiti. E confeziona l’ultimo capitolo della saga buttandoci dentro di tutto e di più.
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