A Dangerous Method

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Tratto dal testo teatrale di Christopher Hampton The Talking Cure, e presentato in concorso alla 68esima Mostra del cinema di Venezia, il nuovo film di Cronenberg esplora le relazioni pericolose tra il ventottenne Carl Gustav Jung, il suo mentore Sigmund Freud e Sabina Spielrein. Quando la giovane ragazza russa viene ricoverata nella clinica psichiatrica Burgholzli di Zurigo, Jung decide di tentare su di lei il trattamento sperimentale di Freud noto come psicoanalisi o terapia delle parole. Grazie alla corrispondenza sul caso, Jung instaura un rapporto d’amicizia con Freud e il loro primo incontro (tredici ore di serrata conversazione) segna una tappa fondamentale della scienza moderna, dando inizio alla storia della psicoanalisi. Il trattamento ha successo e Sabina intraprende la carriera di psichiatra. Jung, invece, prende in cura un suo collega, Otto Gross, convinto sostenitore della amoralità e della libertà sessuale e, sotto la sua influenza, mette da parte il rigore etico e si abbandona ad una trascinante passione per Sabina. I due iniziano una relazione sessuale che cambierà per sempre il volto delle loro vite e di tutta la psicoanalisi.



L’accoppiata tra un regista come Cronenberg e un grande drammaturgo come Hampton è un connubio perfetto che da vita ad un film impeccabile come un meccanismo ad orologeria: la sceneggiatura riesce ad intrecciare alla storia d’amore e di follia anche fatti storici e citazioni dagli scritti dei protagonisti, diventando un continuo duello verbale, un avvincente dibattito di idee. La regia di Cronenberg riesce a combinare un’oggettività estremamente fredda e un coinvolgimento emotivo decisamente violento. Sotto il profilo visivo, il film è raffinato, elegante, quasi accademico, sembra uno di quei film in costume, meravigliosamente orchestrati da James Ivory: fotografia desaturata, quasi neutra, che crea uno sfondo su cui risalta una ricostruzione storica impeccabile, curata nei minimi dettagli delle ambientazioni e dei costumi, in cui tutto è preciso senza essere pittoresco o romantico, senza essere teatro filmato, ma azione vera; movimenti di macchina essenziali ma delicati, sinuosi, morbidi (la carrellata emozionale che si avvicina a Sabina che attende sulla sponda del lago, il plongé sulla barca a vela in cui dormono abbracciati Jung e Sabina, il dolly lento e danzante su Freud che sembra minuscolo in un giardino di Vienna), attenzione ai dettagli, alle sfumature del dialogo e delle emozioni nei primi piani.

Ma il punto di forza del film è rappresentato senza dubbio dagli attori: Michael Fassbender, nel ruolo di Jung, è uno degli attori più affascinanti e corteggiati del momento, vincitore a Venezia della Coppa Volpi per Shame, sempre preciso, essenziale, ma intenso, tagliente. Viggo Mortensen che dà corpo a un Sigmund Freud brillante e quasi buffo, e di cui la regia di Cronenberg accentua volutamente i dettagli grotteschi, più vicini al non-sense della sua poetica. Keira Knightley, sempre più magra e nervosa, perfettamente calata nel ruolo della giovane isterica, che sfoggia un marcato accento russo e un intero repertorio di gesti e smorfie (le mani nervose e sempre contratte in uno spasmo e lo scatto della mascella durante le sedute di psicoanalisi), valorizzata dagli abiti del primo Novecento e dalla regia di Cronenberg, che la fanno apparire ancora più bella e perturbante.
Tutto è bello, elegante, delicato, ma freddo, cerebrale, quasi insensibile: le passioni che travolgono i protagonisti non travolgono anche noi, ci affascinano, ci catturano, ma non emozionano fino in fondo.

Voto: 7

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