Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
“Guardati dalle idi di marzo”: questo l’avvertimento che l’augure Spirinna rivolge a Giulio Cesare e che, a distanza di secoli, riecheggia nel dramma di Shakespeare dedicato al generale romano. Una frase forte, di impatto, che ha ispirato George Clooney a tal punto da convincere i produttori a modificare il titolo della piece teatrale originale da cui il film è tratto, Farragut North (firmata da Beau Willimon, che nel 2004 lavorava per l’aspirante candidato presidente Howard Dean). Dodici milioni di dollari di budget, un cast stellare e un solido script riportano così il Clooney autore alla ribalta, che con Le idi di marzo firma il suo quarto film da regista. Dopo Good Night and Good Luck non era difficile intuire che lo scapolo d’oro di Hollywood prima o poi avrebbe affondato un colpo da maestro, e il modo in cui questo suo ultimo lavoro è stato accolto all’ultimo Festival di Venezia e la manciata di candidature per i Golden Globe 2012 lo confermano.
La vicenda ruota attorno al personaggio di Stephen Myers (uno strepitoso Ryan Gosling), giovane e talentuoso guru della comunicazione che lavora come vice addetto stampa per il governatore Mike Morris (Clooney), in lotta per le primarie del Partito Democratico che lo potrebbero lanciare verso la Presidenza degli Stati Uniti. Idealista al punto giusto, ma anche pragmatico e col pelo sullo stomaco, Stephen è corteggiato dalla concorrenza, ne viene tentato ma tiene fede ai suoi principi e alla fiducia che ha nel suo candidato. Ciò nonostante, con il precipitare degli eventi, si ritroverà protagonista, suo malgrado, di un intrigo di potere che metterà in luce gli inganni e la corruzione che popolano il mondo della politica.
“Non è un film politico, piuttosto un morality tale con un protagonista che si ritrova davanti a una decisione, quella di vendere la sua anima per ottenere il potere”: così Clooney aveva commentato il suo film al Festival di Venezia. E in effetti è così, l’elemento su cui lo script insiste è proprio il cambiamento che deve affrontare il personaggio di Stephen, un bravo ragazzo, pulito e pieno di ideali, costretto a fare i conti con il marciume che lo circonda. Osserviamo il volto di Gosling trasformarsi piano piano, come il ritratto di un moderno Dorian Gray la cui visione del mondo viene ribaltata da una serie di esperienze agghiaccianti in cui si ritrova coinvolto. Clooney sa mettersi intelligentemente da parte, preferendo lasciare la scena al suo formidabile cast: oltre al suo protagonista d’oro (dopo la brillante prova offerta anche in Drive, Gosling è sicuramente l’attore del momento) ci sono Paul Giamatti, Philip Seymour Hoffman, Evan Rachel Wood e Marisa Tomei. Il ritmo serrato, scandito da scambi di battute fulminanti, è un riuscito omaggio al cinema americano d’inchiesta degli anni Settanta. Da bravo progressista, poi, Clooney lancia il suo grido di allarme nei confronti dei meccanismi di una democrazia malata, oliati solo dalla corruzione e dal ricatto, mentre fa in modo che la sua morale arrivi dritta in faccia allo spettatore, inevitabile come un pugno ben piazzato: è impossibile fare politica senza sporcarsi le mani.
Voto 8
Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.
Il lato oscuro della politica a stelle e strisce in un thriller perfettamente orchestrato dall’abile Clooney.
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