Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Esistono film in cui – oltre la qualità ed il contenuto intrinseco dell’opera – lo spettatore riesce a percepire una particolare grazia, atmosfera, un’aura impalpabile ed indefinita che probabilmente doveva essere stata già presente sul set, tra gli attori, tra gli autori e, prima ancora, in fase di scrittura. Qualcosa che precede l’epifania della proiezione in sala e che, nonostante i tanti passaggi intermedi, arriva comunque al fruitore finale. Questo tipo di inafferrabile sensazione è presente soprattutto nei film comici e nelle commedie.
Ad esempio, Il Ciclone di Leonardo Pieraccioni, gradevole riuscita commediola sentimentale ma nulla più, deve il suo enorme successo al box office anche alla magia ed al divertimento sul set che, come in un transfert rarissimo, arrivò agli spettatori, comunicandogli una riflessa felicità interiore. Un equilibrio tra pro filmico, extra filmico e filmico, parlando difficile, che si è ripetuto anche per Benvenuti al Sud e, ora, per Benvenuti al Nord, entrambi di Luca Miniero, raffinato regista interessato (sin dagli esordi con il surreale Incantesimo napoletano), ad indagare sui contrastati rapporti di amore-odio tra Nord e Sud Italia.
In questo “dittico degli stereotipi regionali” oltretutto il regista e gli attori colgono gli umori nazionali di ritorno all’unitarietà, di superamento della malattia leghista, in un momento di crisi e di disorientamento in cui bisogna serrare le fila, i ranghi del Paese. E cosa c’è di meglio di un cinema di sana propaganda nazionalista per stimolare l’orgoglio patriottico? Certamente il “volemose bene” dei film di Miniero suona un po’ favolistico, eccessivo, posticcio ma credibile proprio in quanto desiderabile e desiderato. Rispetto a Benvenuti al Sud, totalmente debitore dell’originale francese Giù al Nord, Benvenuti al Nord, seppur più fragile nel meccanismo narrativo e più prevedibile, risulta egualmente divertente.
I personaggi, gli stessi della pellicola precedente, hanno acquisito una familiarità ed una riconoscibilità presso il pubblico, mentre la carica comica delle situazioni e della sceneggiatura risultano dello stesso livello. L’astro polare che guida il film sembra essere il solito e abusatissimo Totò, Peppino e la malafemmina. Oramai le citazioni di questo film sono sempre più dichiarate e plateali, dalla lettera all’arrivo in piazza del Duomo. Miniero dedica al film di Mastrocinque più di un omaggio ma volutamente stilizzati ed iperbolici. Il clima è anche quello di Napoletani a Milano di Eduardo De Filippo. Ma Miniero è regista di grande cultura cinematografica ed arriva da citazioni meno esplicite. Come nel finale, nel ricongiungimento sentimentale durante la festa degli alpini. Sullo sfondo, Viaggio in Italia di Rossellini ed il bellissimo finale.
Ed è proprio un “viaggio in Italia” e nei suoi atavici stereotipi, quello che compie Miniero. Con la sua affiatata compagnia di meridionali e settentrionali. Dalla figurina sentimentale da cinema dei “telefoni bianchi” di Alessandro Siani allo sciolto mestiere di Claudio Bisio. Dalla prorompente mediterraneità di Valentina Lodovini fino alla arcigna milanesità di Angela Finocchiaro, qui ancora più riuscita interprete anche della legnosa madre del suo personaggio. Fino ai riusciti caratteri di Giacomo Rizzo e Nando Paone. La new entry del manager perfezionista interpretato da Paolo Rossi, si adegua al clima di umorismo grottesco ma non troppo del film.
Ci sarà un seguito con un Benvenuti a Roma? Citando le parole del maturo amante di Catherine Spaak ne Il sorpasso, sarà difficile perché un meridionale al Nord ed un settentrionale al Sud, restano un meridionale ed un settentrionale. Se vanno a Roma, diventano tutti romani!
Voto 6
Recensione a cura di Raffaele Riveccio
(www.binarioloco.it)
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