The Iron Lady

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Sono straordinariamente paziente, sempre che alla fine si faccia come dico io“.
Margaret Thatcher



Impossibile trovare un soprannome più appropriato di quello con cui la signora Thatcher è conosciuta in tutto il mondo. Lei che Lady di ferro lo è davvero e non certo a chiacchiere. Tenace, impopolare, perseverante e controversa. Questa è la Margaret Thatcher che conosciamo, ma per Phyllida Lloyd non è proprio così. In The Iron Lady la regista racconta due, anzi tre diverse Margaret Thatcher: la donna, l’austero e inflessibile personaggio politico e l’anziana vedova malata di Alzheimer. Ed è proprio in quest’ultima veste che ci viene introdotta la baronessa nel biopic a lei dedicato. Il film si apre con un’inquadratura i cui Margaret Thatcher (Meryl Streep), ex Primo Ministro britannico ormai ottantenne, fa colazione nella sua casa in Chester Square, a Londra. Malgrado suo marito Denis (Jim Broadbent) sia morto da più di otto anni, la decisione di sgombrare il suo guardaroba risveglia in lei una travolgente ondata di ricordi. Denis le inizia ad apparire come se fosse ancora in vita, con quel fare scherzoso e affettuoso che lo contraddistingueva. Lo staff della Thatcher inizia a manifestare preoccupazione a sua figlia, Carol (Olivia Colman), per l’apparente confusione tra passato e presente dell’anziana donna. Preoccupazione che non fa che aumentare quando, durante una cena, Margaret intrattiene gli ospiti fin quando non si distrae e inizia a rievocare un’altra cena avvenuta sessant’anni prima, durante la quale conobbe suo marito Denis.

Si apre così un continuo viaggio nel tempo fatto di salti più o meno bruschi che, attraverso un montaggio intrecciato, ci mostrano chi era la Thatcher da quando, da semplice figlia di un droghiere, viene ammessa a Oxford. Poi l’ascesa politica che la porterà al numero 10 di Downing Street, passando per la guerra delle Falklands e per lo sciopero a oltranza dei minatori (che dopo un anno furono costretti ad arrendersi alla sua linea dura). E ancora la lotta di classe che Margaret ha combattuto fin da ragazza per emancipare la figura della donna nella politica occidentale e il difficile connubio tra l’essere donna, madre e leader di un paese come la Gran Bretagna negli anni in cui l’IRA piazzava bombe ad ogni angolo. Il tutto visto, anzi rievocato, dalla delicata vedova ultraottantenne colma di ricordi di un passato intenso e glorioso. In Inghilterra è stato proprio l’eccessivo intimismo del film a essere duramente criticato: in molti si aspettavano una pellicola più politica, incentrata sull’operato della più potente donna che l’Occidente moderno ricordi.

La punta di diamante del film è senza dubbio l’interpretazione magistrale di Meryl Streep, che torna a lavorare con Phyllida Loyd dopo Mamma Mia!. L’attrice riesce ad arricchire la sua Thatcher di sfumature e dettagli, lavorando in sottrazione e senza gonfiare mai il suo personaggio, neanche nei momenti più intensi e drammatici. La sua Iron Lady è quella che non abbiamo mai visto né immaginato, fragile e segreta. Il Golden Globe, Meryl Streep, se lo è portato a casa pochi giorni fa, e sono in molti a scommettere che il prossimo 26 febbraio sul suo comodino, arriverà anche il vecchio zio Oscar, che per lei sarebbe il terzo. Di contro, c’è un film che gioca troppo e troppo spesso con i cambi di registro e con le repentine alternanze di situazioni. Con un risultato finale discontinuo che manca di compattezza, e con un eccessivo indugiare sulla Thatcher malata di demenza senile: una scelta stilistica sicuramente difficile da compiere in fase di sceneggiatura, ma altrettanto difficile da condividere.

Chiudiamo con un appello, quasi una supplica: cercate di andare a vedere The Iron Lady in originale con i sottotitoli. Solo in questo modo potrete rendervi realmente conto del lavoro fatto da Meryl Streep sul suo personaggio.

Voto 7

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Carolina Tocci

Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.

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