Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Non giunge certo nuova la storia del tizio che vuole gettarsi da un grattacielo e del poliziotto che tenta di convincerlo a non farlo. Ma se tutto questo fosse un escamotage per nascondere un rocambolesco furto di gioielli? Premessa interessante e inizio avvincente per questo 40 carati in cui seguiamo le vicende di Nick Cassidy (Sam Worthington) un poliziotto onesto che ora si trova in prigione per un crimine che (guardacaso) non ha commesso. Colto dalla disperazione e spinto solo dal desiderio di dimostrare la propria innocenza, approfitta della prima occasione che gli si presenta per evadere. Dopo alcune ore viene ritrovato elegante e sbarbato sul bordo di un cornicione del Roosvelt Hotel di New York. La polizia accetta la richiesta di Cassidy: la possibilità di negoziare con l’agente Lydia Anderson (Elizabeth Banks) e, mentre mezza Manhattan si è radunata sotto il cornicione da cui Nick ha annunciato di volersi lanciare, suo fratello Joey e la sua ragazza Angie, (Jamie Bell/Billy Elliot e la conturbante Genesis Rodriguez), si introducono nella gioielleria del perfido costruttore David Englander (Ed Harris) per rubare il diamante per il cui precedente furto era stato condannato proprio il protagonista.
40 carati è un tipico esempio di film che parte col piede giusto per guastarsi nella seconda metà. Interessante la scelta di far seguire allo spettatore due vicende parallele e complementari e farcirle di temi intramontabili quali riscatto e vendetta. Ci troviamo così spettatori di una storia tutt’altro che complessa, ripresa dal documentarista Asger Leth qui al suo primo lungometraggio, portata avanti quasi esclusivamente da ritmo, tensione e inquadrature vertiginose. Gli attori non brillano, si salva la bionda Elizabeth Banks, che offre una prova decisamente più credibile rispetto a quella del suo collega Sam Worthington, portatore sano di un’unica espressione dall’inizio alla fine (la stessa che sfoggiava nelle oltre due ore di Avatar). Se vogliamo sforzarci a trovare un elemento degno di nota all’interno di 40 carati, possiamo spendere una riflessione sul modo in cui nel film la folla reagisce alla situazione a cui assistiamo in apertura: le persone che si radunano sotto all’hotel da cui tutti si aspettano il grande salto nel vuoto da parte del protagonista, appaiono tutt’altro che sconvolte. Si crea un tifo da reality show, si scommette sull’esito del salto (riuscirà o no l’aspirante suicida a centrare il materasso pneumatico posizionato dai soccorritori?) e c’è chi non rinuncia a girare un video col telefonino da poter mettere subito in rete. Interessante spaccato di una società governata dai media di infimo livello, alla costante ricerca di quasiasi cosa faccia notizia. Sicuramente l’aspetto più tremendo di una pellicola che regala solo qualche vertigine, e una prova di coraggio da parte di Sam Worthington, che merita un applauso per aver affrontato il terrore che nutre da sempre nei confronti dell’altezza, girando un film a settantotto metri dal suolo.
Voto 5
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