Albert Nobbs

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Tutto iniziò con una pulce. Sino a quella notte, infatti, nessuno aveva dubitato che lei fosse un lui. In realtà nessuno lo scoprirà mai, spettatori esclusi, sino all’ epilogo ed oltre.
Immensa prova d’attrice e grandissima prova di coraggio questa interpretazione offertaci da una Glenn Close in odore di Oscar. In realtà, lei si era già cimentata con lo stesso ruolo nel lontano 1982, calcando le tavole del palcoscenico in The Singular Life of Albert Nobbs, trasposizione teatrale del racconto breve dell’autore irlandese George Moore, per la regia di Simone Benmussa.



Confrontarsi di nuovo con un ruolo così difficile, alla soglia dei sessantacinque anni non deve essere stato un percorso in discesa. Tutto si gioca, infatti, sul filo del rasoio: “Quando lo avrà detto a sua moglie che era una donna? Prima o dopo il matrimonio?” perché l’immagine, la rispettabilità, nella Dublino dell’Ottocento era tutto, ed essere donna valeva quasi niente.
Ottima la regia di Rodrigo García Barcha, figlio cinquantatreenne di Gabriel García Márquez, danneggiata – forse – unicamente dalla distanza geografico-emotiva che separa il bollente Sudamerica dalla gelida Irlanda. Albert Nobbs è un ritratto meticoloso ed a tratti impressionante della vita di una donna che ha rinunciato al proprio genere, alla propria natura per potersi integrare in una società maschilista ed arcaica ove se sei povero, non conti nulla ma se sei povero e donna, sei l’ultimo degli ultimi. E’ questa, infatti, essenzialmente una storia di donne, un’elogio della sorellanza.

A conferma di ciò, è il personaggio di Hubert Page a fornire la chiave interpretativa per dipanare la matassa. Sarà lei, infatti, una lei che vive come un lui al punto da essere un marito lavoratore con un rude mestiere da maschio, a permettere l’epifania di Albert (nessuno saprà mai il suo vero nome), quell’apertura verso il sentiero di non ritorno che la porterà verso il compiersi del proprio destino. Sarà, infatti, proprio il monumentale “signor/a” Page a dirle, durante un party: “Siamo entrambi travestiti da ciò che in realtà siamo. Una bella maschera”. A ribadire e rinsaldare tale legame per la vita tra le due protagoniste, l’autore ed il regista ci donano la scena della loro passeggiata sulla spiaggia…finalmente vestite da signore, talmente intensa da valere, da sola, il prezzo del biglietto.
Un riconoscimento speciale va all’eccezionale, quanto sconosciuta in Italia, Janet McTeer. E’ lei, infatti, a regalarci l’impeccabile interpretazione di Mr. Hubert Page, l’uomo-donna che funge da snodo narrativo primario per la tarda, quanto commovente, emancipazione di Nobbs. Senza le sue spalle larghe, infatti, neppure una stella come la talentosa Glenn Close avrebbe brillato così intensamente e il risultato finale è da Oscar.

Voto 7

Recensione a cura di Massimo Frezza
(www.binarioloco.it)

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