Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Dimenticate il George Clooney che conoscete, il divo gigione sicuro di sé, ben consapevole del carisma e del fascino che lo hanno portato al successo. Difficile immaginarlo, un po’ meno se avrete la possibilità e il desiderio di osservarlo nei panni di Matt King, un marito tradito e un padre costretto a riprendere il controllo di ciò che resta della sua famiglia dopo che sua moglie è entrata in coma. Detta così sembra una tragedia, e in effetti lo è. Se non fosse che Alexander Payne è uno dei pochissimi registi in grado di far sorridere parlando di morte. Vincitore di due Golden Globe (Miglior Film Drammatico e Miglior Attore Protagonista) e candidato a cinque premi Oscar (Film, Regista, Attore, Montaggio e Sceneggiatura Non Originale), Paradiso amaro è un film praticamente perfetto.
Siamo alle Hawaii, tra paesaggi mozzafiato, acqua cristallina e sole cocente. Un paradiso? Non esattamente. Per dirla alla Matt King “…paradiso un cazzo!”. Elizabeth, la moglie di Matt, è in coma da alcune settimane in seguito ad un incidente sportivo, e l’uomo, avvocato di successo poco presente in casa, si trova a dover gestire le sue due figlie, la piccola Scottie (Amara Miller) e l’adolescente Alexandra (Shailene Woodley). Inoltre Matt è alle prese con un’altra questione: è infatti l’amministratore fiduciario di una delle ultime zone ancora incontaminate delle isole, un terreno che appartiene alla sua famiglia da generazioni e che se venduto frutterebbe milioni di dollari. Il fatto è che a breve una legge lo obbligherà alla cessione. Forse esiste ancora una soluzione legale, ma i numerosi cugini di Matt sono decisamente propensi alla vendita, nonostante ciò dovesse significare cementare ed edificare una delle ultime parti incontaminate dell’arcipelago.
Insomma ci risiamo: Payne ci accompagna in una nuova location sensazionale (i vigneti della California di Sideways o le immense pianure del Nebraska attraversate da Jack Nicholson in A proposito di Schmidt) funzionale al cambiamento che il suo personaggio sta affrontando, che lo costringe a una sorta di resa dei conti con vista panoramica. Fisso sul suo protagonista che viene trascinato dagli eventi fino al momento in cui riesce finalmente a cavalcarli, il regista di origine greca ci regala ancora una volta un film acuto, delicato e assolutamente autentico. Il peso e la complessità che riesce a dare ai personaggi (tutti, nessuno escluso) e il modo in cui mette in mostra quella particolare commistione tra cinico e grottesco che solo la vera esistenza riserva, così come il modo in cui si diverte a farcire la storia con metafore goffe e stralunate sulle difficoltà della vita (la corsa in ciabatte di un Clooney con i piedi a papera su tutte), rende Paradiso Amaro il suo film più riuscito sia strutturalmente che narrativamente. Tra le caratteristiche più efficaci e insolite che ricorrono nel cinema di Alexander Payne, poi, c’è il modo in cui l’autore riesce a stabilire un’empatia tangibile tra i personaggi che racconta e lo spettatore. E Paradiso amaro non fa eccezione, tanto che dopo la prima mezz’ora di film, Matt diventa uno di noi, qualcuno la cui sorte inizia a starci a cuore: ci caliamo nei suoi panni, condividiamo i suoi pensieri, e alla fine del film giungiamo alla sue stesse conclusioni, insieme.
Voto 9
Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.
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