Gli infedeli

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I favolosi anni Sessanta non finiscono mai, anche nel cinema e anche in Francia, specialmente per la commedia-frammento. Un occhio alla realtà circostante, basta attingere la penna all’inchiostro (sì, viene da pensare che nemmeno l’inchiostro abbia intenzione di finire) dei costumi – colorato e trasparente – e appuntare a mano (l’idea di immediatezza) su un foglio volante piccoli fatti di vita quotidiana. Certo, poi, una qualche differenza la faranno anche il trasferimento inevitabile sul file di un computer e le capacità espressive del regista: noi italiani, dopo Dino Risi, non abbiamo avuto da imparare granché da alcuno. Ma è certo che i piccoli raccontini/verità provocatori e simbolici faranno ancora da specchio molto gradito allo spettatore in cerca di giustificazioni e risarcimenti per i propri difettucci. Possiamo dire che i due attori-guida (Jean Dujardin e Gilles Lellouche) dei nove episodi dedicati all’infedeltà formano una coppia di “nuovi-nuovi mostri” dei nostri giorni. Rispetto alla “cattiveria” satirica degli archetipi Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi, i due francesi se la battono per simpatia e sfacciataggine, ma la carica critica del racconto è molto più leggera e la complicità del pubblico è data più per scontata.



La “mostruosità” dei personaggi, il loro rapporto con le donne, la loro mania di “caccia” e il sistema di bugie (soprattutto con se stessi) appare piuttosto normale, a patto che si guardi alle loro “abitudini” con occhio maschile. E, se mai, è questa scelta del genere ad apparire oggi meno scontata, o comunque più forte rispetto al contesto in apparenza avviato verso una progressiva omogeneità. Guardando al cinema, c’è traccia nel cast dell’operazione stilistica che ha fruttato il trionfo “muto” dell’Oscar (The Artist) al regista Hazanavicius e al protagonista Dujardin. Specie sul volto dell’attore si direbbe palpabile un’ansia di “liberazione” da quello sguardo fittizio in bianco e nero. Il problema è che pure qui la verità ha l’aria di restare lontana, in ossequio alle leggi della complicità assolutoria. I due amici nel film, si coprono a vicenda per le fughe verso la conquista dell’eros, un erotismo maniacale e tutto sommato “infelice” a causa del ruolo subordinato della donna. Centrale e narrativamente più riuscito è l’episodio intitolato Thibault, in cui marito (Guillaume Canet) e moglie (Annabelle Naudeau) fanno il gioco pericoloso di rivelare l’uno all’altra e viceversa i propri tradimenti: si esce dalla struttura episodica ed è quasi un altro film, con la sua autonomia. Gustosa e non priva di trasparenza critica (finalmente) la riunione degli Infedeli anonimi. Le loro “confessioni” di gruppo preludono in un certo senso al paradosso finale che ricongiunge i due amici protagonisti in una ulteriore (non diciamo quale) dimensione amorosa.

Voto 7

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