Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Presentato In Concorso all’ultimo Festival di Cannes, il terzo film del neozelandese Andrew Dominik (dopo Chopper e L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford) è un ibrido che mescola stile da gangster movie, toni fotografici da noir e dialoghi e personaggi dal profondo accento pulp. Tratto dal romanzo di George V. Higgins del 1974, Cogan’s Trade, la pellicola è ambientata a New Orleans e racconta la vicenda di due sbandati, uno eroinomane e l’altro appena uscito di prigione, che compiono una rapina durante una partita di poker protetta dalla mafia, provocando il collasso dell’economia criminale locale. Toccherà al killer professionista Cogan, alias Brad Pitt, riportare l’ordine e rintracciare gli autori del colpo.
La leggenda vuole che Brad Pitt abbia accettato di interpretare e produrre Cogan rispondendo a un sms di Andrew Dominik, come ha raccontato il regista durante la conferenza stampa di presentazione del film a Cannes: “Ho mandato un sms a Brad in cui gli spiegavo l’idea di base. Volevo sondare il terreno prima di procedere. Immaginavo che avesse qualche grosso progetto tra le mani e che non avrebbe prestato attenzione a un film low budget raccontato in un sms, invece mi ha risposto subito e un’ora dopo avevamo raggiunto un accordo”. Insomma, una cosa cotta e mangiata. Forse troppo.
Perché l’agonia del sogno americano, sottotesto politico-economico neanche troppo velato di Cogan, è presente in modo ossessivo, anche se in modo indiretto, attraverso radio e TV costantemente accese, in un’America in pre-crisi durante il delicato passaggio presidenziale tra Bush e Obama. I dialoghi serrati e il realismo di Higgins vengono mantenuti, anche se attualizzati, e rimangono l’unico punto di forza di una pellicola la cui metafora (governanti e banchieri che, ben lontani dall’agire negli interessi del Paese, vengono accusati di essere criminali e truffatori a capo di imprese private a scopo di lucro) non è sufficiente a smorzare la noia che subentra già dopo la prima mezz’ora di visione. Tanta carne al fuoco, tanti buoni spunti e riflessioni, che però non vengono messi a segno e Brad Pitt che non si sforza più di tanto nel tratteggiare il suo killer dolce, spietato e impomatato che parla per metafore e che si muove in silenzio sotto una pioggia (purificatrice?) che non smette di cadere. Fortuna che ci sono James Gandolfini, Ray Liotta e Richard Jenkins.
Voto 5
Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.
La metafora della crisi economica passa anche attraverso un gangster movie tutte chiacchiere e poca azione.
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