Venuto al mondo

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QUI trovate le nostre videointerviste a Penélpoe Cruz e Sergio Castellitto.



Prima di arrivare nelle nostre sale, Venuto al mondo ha fatto la sua apparizione al Festival di Toronto e a quello di San Sebastian (dove è stato vistosamente fischiato, ma pochi coraggiosi hanno riportato questa triste notizia). E un po’ dispiace essersi giocati così una buona occasione di mandare un film italiano in giro per il mondo, cosa che accade sempre meno. Certo se le pellicole che varcano i confini del nostro paese sono tutte così, questo trend continuerà ancora per molto. Dopo la poco convincente parentesi della commedia (La bellezza del somaro, di cui abbiamo ampiamente parlato a suo tempo), Sergio Castellitto torna a lavorare con le sue donne, la moglie Margaret Mazzantini, autrice del libro da cui il film è tratto, e Penélope Cruz, una delle sue attrici feticcio, dopo il successo di Non ti muovere nel 2004.

Siamo invitati a seguire la storia di Gemma (Penélope Cruz) una donna di mezza età che, dopo aver ricevuto la telefonata del vecchio amico Gojico (il bravissimo Adnan Haskovic), decide di partire in compagnia del figlio sedicenne Pietro (Pietro Castellitto), per tornare a Sarajevo molti anni dopo il viaggio studio che ha cambiato la sua vita. Ritornare in quella città che molto ha significato per lei, però, vuol dire anche dover ripercorrere alcune tappe dolorose della sua esistenza, in particolar modo l’amore per Diego (Emile Hirsch), un giovane fotografo conosciuto poco prima che scoppiasse la guerra nei Balcani.

Con Venuto al mondo Castellitto sembra voler consegnare il Verbo nelle mani dello spettatore attraverso le parole di sua moglie, divenute immagini sotto la sua regia. “Vi stiamo dando l’arte con la A maiuscola” sembra quasi sentir sussurrare durante tutto il film. Peccato che di Arte con la a maiuscola non si tratti. Goethe diceva che “In arte soltanto l’ottimo è buono abbastanza”, sotto quest’ottica, possiamo asserire che Venuto al mondo, semplicemente, non è abbastanza. Non è abbastanza credibile, abbastanza coinvolgente, abbastanza originale rispetto alla prospettiva che vorrebbe mostrare e che non mostra. Con un cast dai nomi altisonanti ed internazionali in cui però sono i volti meno noti a spiccare (Adnan Haskovic e Saadet Aksoy) e un budget da dieci milioni di euro (che per un film italiano è altissimo!), le aspettative attorno a questa pellicola erano piuttosto alte. Purtroppo sono state disattese da una narrazione discontinua nella quale i diversi piani temporali che la caratterizzano mancano di fluidità e da un racconto che procede in modalità straziante, anche quando non se ne sente il bisogno, verso un finale temporalmente troppo distante dalla prima scena e in cui viene svelato un coup de théâtre che non è poi così sensazionale. Penélope Cruz è brava, bisogna dargliene atto, lo è di meno il suo collega americano Emile Hirsch che sembra quasi un folgorato sulla via di Damasco per tutto il tempo in cui lo vediamo in scena. Qualche bella inquadratura, il pathos che non manca di commuovere in alcune scene e la colonna sonora del film (anche questa, un affare di famiglia, dato che è stata affidata al fratello di Penélope, Eduardo Cruz), oltre alle interpretazioni del cast balcanico, sono gli elementi da salvare, ma che non sono sufficienti a salvare il film.

Voto 5

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Carolina Tocci

Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.

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