Tappeto rosso quasi tutto italiano, ieri sera, su cui hanno sfilato Carlo Verdone, Claudia Gerini, il cast de La scoperta dell’alba e quello di Mains dans la main.
La giornata di oggi è iniziata invece con una polemica che è stata riportata da alcuni quotidiani. Ebbene, ieri mattina un nutrito gruppo di studenti si è recato, accompagnato da alcuni insegnanti, alla proiezione del film di animazione in 3D Il piccolo principe – Il pianeta del serpente, ispirato al capolavoro per l’infanzia di Antoine de Saint-Exupéry e diretto da Pierre Alain Chartier. Appena si sono spente le luci, è passata sullo schermo la sigla del Festival (che anticipa qualunque film presentato all’interno della kermesse) e: apriti cielo! Le maestre furiose sono rimaste di sasso nel vedere che “Prima del film c’è la sigla del festival con una donna nuda. Non è possibile! Anche qui!”. Il video incriminato, che è stato cambiato quest’anno, è un omaggio al precinema di Maray, uno dei precursori della cinematografia. E’ vero, si vede una donna, di profilo, con i capelli raccolti che tiene in mano arco e freccia che punta la sua arma verso l’alto. Ora, di questa donna non si vede nulla che possa scuotere un bambino, tantomeno un adolescente.
Questa un’immagine che siamo riusciti a catturare della clip in questione, tanto per rendere l’idea. Una polemica piuttosto sterile, come spesso accade. Su questo trend, ai bambini inferiori a una certa età dovrebbe essere vietato anche entrare in musei, pinacoteche, gallerie d’arte e mostre di vario genere. Senza tirare in ballo quello che molte TV trasmettono nella cosiddetta fascia protetta.
Questa mattina, poi, di buon’ora, siamo andati a vedere il film più brutto in cui siamo incappati fino ad ora in questa edizione del Festival. Chi scrive è una fan del Carlo Lucarelli scrittore, un po’ meno del Lucarelli personaggio televisivo, ma le aspettative attorno al suo primo film da regista erano piuttosto alte. Ebbene, L’isola dell’angelo caduto più che un film sembra una fiction di infima categoria, con attori piatti e una regia assolutamente inesistente. Trasposizione di uno dei romanzi più noti dell’autore parmigiano, la pellicola è ambientata negli anni dell’ascesa di Mussolini, in un’isola prigione abitata da un pugno di personaggi (tra cui il protagonista, quel Giampaolo Morelli già visto nelle serie TV L’ispettore Coliandro o Il commissario De Luca, entrambe ideate da Lucarelli) che che si ritrovano ad essere coinvolti in una serie di decessi apparentemente accidentali. Raccordi che non tornano, montaggio azzeccato e impreciso e un’atmosfera gotica che perde credibilità già dopo i primi cinque minuti. Dato il risultato, ci auguriamo che che Lucarelli torni a scrivere romanzi il più presto possibile.
Una nota di grazia e dolcezza è arrivata di nuovo dalla Francia, con Populaire, diretto dall’esordiente Regis Roinsard che, dietro le sue frivole apparenze, si rivela in realtà una brillante e irresistibile riproposizione della commedia sofisticata tradizionale, ricalcando fedelmente gli stilemi e la struttura di certi film di LaCava, di McCarey, se non addirittura di Cukor. Ben lungi dal farsi stucchevole e artificiosa, la pellicola racconta la vicenda di Rose Pamphyle (interpretata da Deborah Francois), una giovane segretaria della provincia normanna destinata a diventare la dattilografa più famosa di Francia. Ritmo e caratterizzazioni fieramente rétro (siamo nel 1959) incorniciano questa commedia fresca e coinvolgente grazie anche ai due protagonisti (l’altro è Romain Duris de Il truffacuori) straordinariamente mimetici e a una messinscena che non scade nella leziosità ma si mantiene su un costante stato di grazia.
Decisamente meno brillante, invece, il primo dei due film sorpresa del concorso, 1942, diretto da Feng Xiaogang, fluviale e dispendiosissima cronaca del più devastante anno di carestia nella storia della Cina. Due ricattatorie e urlatissime ore e mezza di disgrazie sbattute con disinvoltura e senza il minimo senso della misura in faccia allo spettatore non suscitano né commozione né partecipazione, non si percepiscono né stile né anima dietro ad una narrazione addomesticata e un po’ troppo occidentalizzata da cinema propagandistico di esportazione (su modello dell’affine, e pessimo, The Flowers of War, di Zhang Yimou). Tutto suona fasullo e vieto, dalle asfissianti musiche pseudomorriconiane a tutto volume agli indecenti effetti speciali – nonostante i venticinque milioni di euro di budget. No comment sulla scelta delle partecipazioni speciali di Adrien Brody e di Tim Robbins per accalappiare il pubblico americano.
Grazie ad Eugenio Boiano ed Andrea Bosco
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