Quello che so sull’amore

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George Dryer, ex campione di calcio scozzese affetto dalla sindrome di Peter Pan, ha tradito la moglie Stacie, finendo per perdere sia lei che il figlio Lewis. Dopo il divorzio, George ha cercato fortuna altrove ma ha sempre fallito. Ridotto senza un soldo, decide di tornare a vivere nella città dove abita la sua famiglia: vuole iniziare qui il suo percorso di rinascita, cercando un lavoro come commentatore sportivo e tentando di recuperare il rapporto con suo figlio. Ma Stacie sta per risposarsi e Lewis è sempre diffidente nei suoi confronti. Quando gli offrono di allenare la squadra di calcio in cui gioca il piccolo, George capisce che quella è proprio l’occasione giusta per ricominciare…



Nel terzo film americano di Gabriele Muccino, del suo cinema migliore resta poco o niente: Quello che so sull’amore manca di originalità, di freschezza delle storie e dei personaggi, così come è del tutto assente la leggerezza agrodolce dei dialoghi e dei movimenti di macchina, la giovane borghesia affannata, nevrotica e piena di sogni ma soprattutto manca la direzione degli attori, che rappresenta proprio la vera essenza dei suoi film, la sua inconfondibile cifra stilistica. Mentre scorrono i titoli di coda, permane l’impressione di aver assistito ad un saggio di fine anno, dove tutto era pulito e preciso, chiaro e riconoscibile ma senza energia, freschezza, originalità e, talvolta, coerenza. C’è tutto ma non resta niente. Soprattutto non resta nulla di Muccino: nel tentativo di fare breccia nell’oliatissimo ed implacabile ingranaggio del sistema hollywoodiano e di mostrarsi pienamente integrato nel cinema americano, Gabriele si è sbiadito, ingrigito, ha perso forza e smalto ma non ne esce del tutto sconfitto.

Il vero punto debole della pellicola, infatti, non è tanto la regia quanto la sceneggiatura di Robbie Fox che sembra scritta da un mestierante, da un giovane studente di sceneggiatura: tutto è scontato e prevedibile sin dalle prime scene, con una storia che non decolla, non cresce, con personaggi che sembrano approfonditi e vivaci ma che, in realtà,  ripropongono il solito campionario del padre assente e superficiale, della madre che sta per risposarsi, del figlio diffidente, delle casalinghe disperate, della piccola provincia americana.

Lo script che riesce nella difficile impresa di far apparire due attrici come Uma Thurman e Catherine Zeta-Jones poco affascinanti e quasi noiose, ridotte come sono al ruolo di caratteriste brillanti, di pallide imitazioni delle casalinghe disperate di Wisteria Lane. Per non parlare di Jessica Biel, smunta e dimessa, al limite del patetico. In generale tutto il cast ne esce sbiadito, sprecato, con la sola eccezione di Gerard Butler che abbandona per una volta il suo consueto ruolo granitico e virile per dare vita a un personaggio dolce e scanzonato, confuso e affascinante.

Voto 4

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