La grande bellezza è un film? La grande bellezza è solo un film? E se La grande bellezza è qualcosa oltre un film, strettamente un film, che cos’è? Un’esperienza sensoriale ed intellettuale? Un trip visionario e lisergico? La Reincarnazione de La dolce vita? La libera caduta dal Romance alla satira di un’intera Umanità, la scientifica registrazione dell’urlo del vento ed il tonfo dell’impatto di questo interno girone infernale sul duro eppur accogliente eterno suolo capitolino? La grande bellezza non può essere giudicato, valutato, parametrato con gli usuali strumenti di misurazione della media cinematografica, italiana in particolare. E’ un monolite esterno, alieno, di un materiale ancora non riconosciuto, una gigante nera o una nana bianca i cui confini sfibrano malamente oltre il taglio cesareo dell’inizio e della fine del film. Perché poi, comunque, quest’oggetto altro è forzatamente inserito in un bossolo che ne deve contenere tutta la polvere pirica pronta ad esplodere nuovamente ad ogni proiezione. E quel bossolo potrà essere più o meno grande, avere una deflagrazione semplice o a grappolo, ma dovrà sempre rispondere ad una fruibile forma filmica. Eppure La grande bellezza è più di un film, è un ambiente in cui calarsi, da esplorare, da subire nell’intontimento di qualche droga sintetica ed aerea di cui sicuramente è saturo, è un Mondo che alla fine delle più di due ore di esperienza, potrà anche annoiare ma di cui si è certi di averne esplorato solo una minima parte. Molte persone l’hanno già rivisto, io stesso ne ho intenzione. Un film imperfetto, che non riesce a chiudersi, che subisce un’eccessiva sudditanza psicologica verso Fellini ed, in particolare, verso La dolce vita. Un film che non finisce mai, che abbandona lo spettatore, appena si riaccendono le luci, ad uno struggente Mal d’Africa per le immagini lasciate, nella speranza e nella volontà di rincontrarle, di riassumerle come una droga allucinogena.
La rete esonda di critiche, riflessioni, condanne o esaltazioni de La grande bellezza, pellicola che nella costante recerca dell’immagine perduta, alterna sogno metafisico a delirio barocco. L’immagine non si forma, non riemerge dal nero fondo della memoria personale e collettiva, ma il film riesce ad essere come un’ostensione, una Sindone cinematografica che reca comunque tracce di un imperscrutabile Mistero. La grande bellezza è un miraggio satanico per generare caos in chi lo guarda, nell’irrefrenabile fregola di ridurre a comprensione una monade caleidoscopica, eppure riflettente ed impenetrabile. Un numero primo, un Film Primo, irriducibile ed incomprensibile. La grande bellezza è un oggetto così travolgente, affascinante, costantemente variante, policromo, semplicemente perché si presenta come un prisma di specchi che riflette la vita che gli gira intorno. E noi spettatori, credendo di vedere un film, rivediamo noi stessi ridotti a personaggi, a figure pittoriche, cinematografiche, parte di un racconto che altro non è che la nostra vita. Ed il desiderio strano, inquietante, di voler rivedere il film, proprio per conoscere il seguito, il destino delle nostre vite.
La grande bellezza è un prisma specchiante infisso al centro di Roma, è una creatura parassitaria che ha preso in prestito la forma, l’organismo ospitante del capolavoro felliniano per inoculare il suo splendido e maledetto sortilegio negli spettatori contemporanei. Ma non è una novità. Sono esistiti altri film, altre opere artistiche ostili alla decifrazione, che continuano a proporre domande sibilline sempre diverse e che mandano in corto circuito gli umani limiti. Film quali Il Casanova di Fellini o 2001 Odissea nello spazio per i quali la continua re-visione ne amplifica le aperture di Senso, le moltiplica, le riflette all’Infinito senza risolverle. La Sindrome di Stendhal che colpisce lo spettatore de La grande bellezza diviene anche Sindrome di Stoccolma verso quelle malìe visive che lo imprigionano nel tentativo di darne un Significato che non sia solo Significante.
Alla luce di queste riflessioni, l’effetto rivelatore e scioccante de La grande bellezza risulta ancor più amplificato dalla generale medietà del nostro cinema. Il film di Sorrentino è un proiettile sparato in alto, verso le altezze siderali dei cerchi mobili ed anche più su. Ovviamente il proiettile non arriverà a destinazione, il corso balistico devierà verso chissà dove ma, intanto, il regista napoletano, ci ha costretti ad inchiodare lo sguardo alla volta celeste. Per due ore, fino a vedere La grande bellezza scomparire nell’Infinito e oltre.
Articolo a cura di Raffaele Rivieccio
(www.binarioloco.it)
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