Diana – La storia segreta di Lady D

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Sinceramente, chi avrebbe davvero voglia di vedere un biopic su Lady Diana?
Le biografie su pellicola di personaggi famosi – e Diana per un certo periodo è stata la persona più famosa del mondo – devono,  per forza di cose, sottostare a certe regole non scritte.
Una di queste è senz’altro la presenza di macchie, di zone grigie a costellare il percorso esistenziale del soggetto in esame e a rappresentarne la parte discendente di un’ideale parabola.
Non c’è un solo biopic, dal Van Gogh di Brama di vivere al Johnny Cash di Walk The Line, che non ricada in questo schema.
Ora Lady Diana queste zone grigie non le ha mai avute.
Che la si voglia vittima di un vetusto sistema di regole alle quali non ha potuto/voluto adeguarsi a lungo o martire dell’eccessiva invadenza dei paparazzi, la “principessa triste” resterà sempre nell’immaginario collettivo come la “nobile” testimonial di tutta una serie di iniziative umanitarie (la più importante, la lotta per l’abolizione delle mine antiuomo) che la rendono un personaggio pressoché intoccabile. Quasi un santino.
Come procedere quindi dovendo fare un film su Lady D?
Semplice, si prendono i suoi ultimi due anni di vita – quelli contraddistinti dal suo amore segreto per il cardiochirurgo Hasnat Khan – e ci si costruisce attorno un film che comincia come una commedia romantica (l’incipit a tratti ricorda Nothing Hill) per poi virare ben presto verso il melò e – ça va sans dire – la tragedia.



E il giochino in parte riesce pure, complice una Naomi Watts camaleontica – il film è tutto sulle sue spalle – nella sua trasformazione in Lady Diana. L’attrice inglese non si limita infatti a recitare né tanto meno ad imitare; lei è proprio Diana e in alcune scene in cui viene ripresa di spalle il processo di sovrapposizione fisica è quasi impressionante.
Il regista Oliver Hirschbiegel, dal canto suo, per la seconda volta, dopo La caduta – Gli ultimi giorni di Hitler, torna a raccontare un’icona contemporanea colta in un arco temporale ben circoscritto e porta in dote al progetto una sensibilità non comune, evidente soprattutto nella raffinatezza di alcune scelte di sguardo (i dettagli insistiti su alcuni accessori, uno su tutti le scarpe della principessa) e in tutte le scene in cui si sofferma a descrivere il senso di solitudine, quasi di reclusione, che Diana viveva negli anni successivi al suo distacco dalla famiglia reale.
Proprio come Hitler nei giorni che ne precedettero il suicidio, anche Diana viveva in un bunker, sia sociale che fisico, e la scena in cui nasconde il suo amante sotto una coperta sul sedile posteriore dell’auto, per farlo passare inosservato alle guardie del suo stesso palazzo ne è una rappresentazione perfetta.

Un po’ poco però perché la storia d’amore tra la principessa più fotografata del pianeta e il riservato chirurgo pakistano riesca a non mostrare la corda già durante la prima ora di film.
Tutto è troppo garbato e gentile e l’idea che la produzione abbia edulcorato in maniera eccessiva le vicende narrate, forse per paura di indispettire i reali britannici, non sembra affatto azzardata.
In definitiva, a parte i succitati meriti e una notevole colonna sonora firmata dal sempre bravo David Holmes (la trilogia di Ocean), Diana – La storia segreta di Lady D, nel suo non aderire alle regole del biopic di cui si parlava all’inizio, finisce per assomigliare alla sua protagonista e rimane bloccato, a metà strada tra l’essere il viatico per un ipotetico premio Oscar a Naomi Watts (i membri in genere premiano questo tipo di interpretazioni) e un oggettino innocuo, interessante giusto per gli amanti del gossip più casto.
Forse chissà, nelle mani di un Abel Ferrara…

Voto 5

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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