Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Roz (Robin Wright) e Lil (Naomi Watts) sono amiche da sempre.
Anzi, Roz e Lil sono molto più che amiche.
Le due donne infatti vivono le loro vite, in maniera quasi simbiotica, in due ville limitrofe in un luogo non meglio identificato sulla costa australiana.
Il loro legame si fa ancora più forte quando Lil, dopo solo pochi anni di matrimonio, perde il marito in seguito a un incidente d’auto.
Simili in tutto (anche fisicamente) le due crescono i rispettivi figli, in questo angolo di paradiso, in una sorta di esilio dorato.
Naturale quindi che i due ragazzi sviluppino da subito un’amicizia che ricorda molto da vicino quella materna.
Quando il marito di Roz si trasferisce a Sidney per lavoro, gli equilibri tra i quattro si evolvono in una maniera del tutto inaspettata.
Un’occasione sprecata.
Questo è il primo commento che si delinea netto non appena il film va a parare inevitabilmente verso quei lidi, che sin dall’inizio, si sperava invece potesse evitare.
Il che accade già dopo pochi minuti dai titoli di testa.
E’ un peccato innanzitutto perché, sulla carta, questo Two Mothers poteva ambire a rappresentare una sorta di manifesto filmico di quella fatidica “mezza età”, che da alcuni anni la società dello spettacolo cerca in tutti i modi di negare a sé stessa, sacrificando le sue star – soprattutto donne – non appena queste varcano la soglia dei quarant’anni.
Ed è un peccato anche in virtù delle due attrici delegate a mettere tutta la loro matura sensualità al servizio di questo film.
Naomi Watts e Robin Wright veicolano infatti, in questa prova, un fascino e una maturità forse mai espresse prima.
La seconda, in particolare, dopo una carriera spesa per lo più in ruoli di contorno, qui esplode letteralmente, oscurando in numerose scene la collega; anche se per chi l’aveva apprezzata nella serie TV House of Cards non rimarrà certo stupito.
E dire che un paio di frecce al suo arco la regista Anne Fontaine (Coco avant Chanel, Il mio migliore incubo) pure le aveva. Una su tutte, la location.
L’idea di ambientare la storia in questa sorta di Eden naturale, in cui sembra sempre estate, ad esempio, è buona e contribuisce a conferire a tutto il film una sottile atmosfera onirica che, se da un lato suggerisce una sospensione del tempo, dall’altro salva almeno un paio di scene dal ridicolo.
Un esempio? Ve le immaginate due mamme quarantenni che, stese al sole di una spiaggia australiana, ammirano estasiate i propri figli – che, per inciso, sembrano appena usciti da una copertina di Vogue – surfare, commentando la visione con una frase come “Sono bellissimi. Sono come degli dei”?
Ciò che stupisce maggiormente forse è proprio come, in una pellicola di dichiarata matrice letteraria (Two Mothers è tratto da tre racconti brevi della scrittrice Premio Nobel Doris Lessing contenuti in The Grandmothers) siano appunto i dialoghi a funzionare meno. Irritanti, banali e assolutamente inverosimili, non riescono mai ad assomigliare a qualcosa che ricordi, anche alla lontana, la vita reale.
In Two Mothers tutto è scontato, ai limiti del telefonato, anche l’insopportabile sequenza finale in cui si gioca la carta di un frettoloso e un po’ patetico “come è andata a finire”.
Resta senz’altro il rimpianto per la bellezza di quei primissimi piani insistiti sui volti delle due attrici protagoniste (mai delle rughe sono sembrate così affascinanti) che punteggiano tutto il film e che fanno intuire cosa sarebbe potuto essere se solo si fosse puntato meno sulla pruriginosità delle vicende narrate, mirando invece maggiormente a una più lucida riflessione sul tempo che passa.
Voto 4
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