Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Paesaggi mozzafiato, una manciata di personaggi e poi, naturalmente, la musica. Storie di ordinaria follia in un Sud non meglio identificato (anche se il film è stato girato nella provincia di Oristano) dove è sempre estate e dove l’oggi non sembra esistere. La seconda regia di Rocco Papaleo, dopo il meritato successo di Basilicata coast to coast, racconta di un prete spretato (interpretato dallo stesso regista), di un marito tradito (Riccardo Scamarcio), di una escort dell’Est ormai in pensione (Barbora Bobulova), di una madre (Giuliana Lojodice) distrutta dalle decisioni prese dai suoi figli, di una storia d’amore tra due donne e di un’improbabile impresa edile. Per vari motivi questo circo di personaggi si ritrova a vivere in un faro abbandonato, un’oasi di pace e tranquillità in cui poter dare sfogo a problemi, incomprensioni e chiarimenti.
Il viaggio del regista lucano ora smette di essere itinerante e si sposta dai luighi fisici (il coast to coast in Basilicata) a quello che appare subito come un luogo dell’anima, nello specifico un antico faro che cade a pezzi che funge da location a quasi tutto il film. I suoi strambi personaggi si muovono in quell’unico ambito, con le loro storie di emarginazione e intolleranza che però risultano sconclusionate e pretenziose. Papaleo sembra essere alla ricerca di una qualche forma di poesia che però stenta ad ispirarlo, con un esito che in alcuni casi sfiora il ridicolo. E non è sufficiente far interpretare a Scamarcio un ruolo che una volta tanto non è da tombeur de femmes (qui è un musicista nonché marito cornuto) se poi in una scena lo vediamo suonare il pianoforte sul pianale di un’Ape mentre viene trasportato al faro, con tanto di mare sullo sfondo. Roba che nemmeno nei film di Nino D’Angelo…
Le situazioni che Papaleo prova a far passare come anticonformiste hanno ben poco di rivoluzionario, anzi. E infastidiscono ancora di più proprio perché vengono spiattellate sullo schermo con una faciloneria e un qualunquismo che si pensavano ormai superati, almeno al cinema. Un film decisamente poco illuminato, questa Piccola impresa meridionale, lontano dal suo scanzonato e fresco predecessore che aveva meno pretese e più idee. Con tutto questo buonismo, invece, anche la comicità sorniona dell’attore e musicista lucano, che a sprazzi regala più di una risata, viene sopraffatta da una moralità e da una retorica che stonano in una storia che vorrebbe tanto essere un inno all’amore in ogni sua sfaccettatura, ma che proprio non riesce ad esserlo. Una piacevole sorpresa però c’è. E ce la regala la brava Sarah Felberbaum che nei panni della giovane donna delle pulizie che viene dall’Est riesce a far coesistere nel suo personaggio rigore, dignità e dolcezza.
Voto 4
Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.
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