Mentre ieri sera tutte le attenzioni erano per il tappeto rosso, noi eravamo a vedere I Am Not Him di Tayfun Pirselimoglu. Possiamo comprendere le limitazioni dovute all’approvazione last minute del budget ed il fatto che l’infelice collocazione nel mese dei morti abbia piazzato Roma in penultima posizione nell’anno festivaliero, tanto da far sentire il fiato sul collo a Torino e ridurre significativamente la scelta dei titoli ancora a disposizione ma da ciò al collocare in Concorso una pellicola drammaturgicamente e cinematograficamente grezza come I Am Not Him il passo è comunque immenso. Una sceneggiatura lunga quanto un tweet ed un opprimente non- ritmo “da far invidia” (in negativo, ovviamente) ai fratelli Dardenne fanno di questo Fu Mattia Pascal in salsa turca il primo 3 secco di quest’edizione 2013. La presunzione, poi, mostrata dall’acclamato e famoso (in patria) pittore-romanziere-sceneggiatore-regista Tayfun Pirselimoglu che tenta, in modo insistito e circolare, di rievocare, senza peraltro riuscirci, lo splendido Ferro 3 di Kim Ki-duk per ben 123 inesorabili minuti…è veramente la ciliegina senza torta. Peccato, davvero perché alcune immagini sono degli autentici dipinti e non v’è dubbio che vi sia l’artista dietro la macchina da presa. Ennesima lezione da ricordare e scolpire nel marmo: la regia e la sceneggiatura sono mestieri con regole ben precise ed in pochi possono reggere le due ore con un film d’autore.
Tappeto rosso, dicevamo: ecco qualche foto della cerimonia di apertura che si è svolta ieri sera. Naturalmente, occhi puntati sulla madrina del Festival, la Sabrinona Ferilli nazionale, che per l’occasione ha indossato un elegante abito nero di Donatella Versace.
“Non chiamatemi madrina, sono qui per l’apertura. Sto facendo le prove a teatro, ma è un dovere essere qui, sostenere il cinema, specie nei momenti difficili. Essere al fianco delle persone che lavorano, nonostante la crisi e tutto quello che succede, mi sembra importante. Se c’è da dare una mano nei momenti difficili, ci sono sempre. Ognuno deve fare quello che può. Aprire questo festival è un gesto che sentivo di fare, è il mio modo per fare il mio in bocca al lupo al cinema. E poi questo è il Festival di Roma, rende omaggio alla città de La grande bellezza“. Con lei hanno sfilato sul red carpet i protagonisti de L’ultima ruota del carro, pellicola diretta da Giovanni Veronesi: Elio Germano, Alessandro Haber, Ricky Memphis e Alessandra Mastronardi.
E ora passiamo al secondo giorno di Festival, cioè oggi, che fortunatamente è iniziato alla grande con la visione di Dallas Buyers Club del canadese Jean-Marc Vallée. Protagonista un intenso Matthew McConaughey che torna a dimostrare, a un anno da Killer Joe, il suo immenso talento drammatico.
La storia è quella, realmente accaduta, di Ron Woodroof, cowboy texano che, a metà anni 80, scopre di aver contratto il virus dell’HIV. Accecato dall’omofobia, in un primo momento fatica a comprendere la gravità del suo stato, ma col tempo reagisce e scopre una cura alternativa, non ancora sperimentata negli Stati Uniti, che decide di importare illegalmente dal Messico.
Per metà cronaca di un inferno privato e per metà denuncia del sistema farmaceutico statunitense, Dallas Buyers Club è un ottimo film la cui riuscita deve moltissimo alle performance attoriali del già citato McConaughey e di un Jared Leto – presente a Roma e particolarmente disponibile in conferenza stampa – in stato di grazia.
“Dallas Buyers Club è un film forte, di impatto, e mi ha mostrato un mondo che non avevo mai conosciuto. Ho sentito dire che lo scriptra tra i vari studios di Hollywood da quindici anni che gira ad Hollywood, in attesa che qualcuno lo trasformasse in film. So solo che appena ho letto la sceneggiatura mi sono innamorato perdutamente del mio personaggio. Voi avete visto il film? Quanti di voi? La maggior parte, vedo. Dicevo che secondo me prendere parte a un progetto così capita una volta nella vita, è un’opportunità incredibile. E’ un film che parla del combattere per quello in cui crediamo, e ad apprezzare umorismo, gentilezza e generosità”.
Altro film di oggi da segnalare, il sorprendente Las brujas de Zugarramurdi di Álex De la Iglesia (La comunidad, Ballata dell’odio e dell’amore). Ancora una volta il regista spagnolo si conferma maestro di immaginazione e contaminazione tra i generi, realizzando una pellicola in cui coabitano commedia, azione e tradizioni popolari. Una rapina in un compro oro nel centro di Madrid dà il la alla vicenda: per dare una svolta alle loro vite e sfuggire alle loro insopportabili mogli, infatti, José e i suoi amici rubano venticinquemila fedi nuziali dal negozio. Fuggendo verso il nord del paese, si ritrovano nei pressi di Zugarramurdi, luogo tristemente noto per essere abitato da streghe sin dai tempi del Medioevo. Divertente, ben scritto e girato ancora meglio, Las brujas de Zugarramurdi racconta la atavica guerra tra i sessi, con più di una strizzatina d’occhio alle tante inadeguatezze e infantilismi che attanagliano i maschi di oggi. Il tutto, naturalmente, condito da una buona dose di erotismo, non per niente nel cast c’è anche la bellissima fidanzata-musa del regista, Carolina Bang. De la Iglesia, durante la conferenza stampa ha sottolineato come i rapporti difficili tra i protagonisti (che sembrano essere una caratteristica ricorrente in tutti i suoi film) questa volta siano rivolti alla coppia e alle relazioni uomo-donna.
“Il film innanzitutto vuole essere una farsa e credo sia fondamentale comunque la dipendenza tra uomo e donna. In questo caso ci ho messo molto del mio, dei miei problemi personali. Se è vero che le donne sono perfide è altrettanto vero che allora gli uomini sono stupidi e facilmente manipolabili. I due sessi non sono affatto uguali questo aspetto nel film è ben evidenziato. Secondo me una donna è già donna quando nasce, mentre un uomo ha bisogno di una donna per essere definito tale”.
“Le donne dovrebbero comandare il mondo”, ha proseguito il regista. “Nel nord della Spagna la donna ha un ruolo centrale nella società che per certi aspetti sembra costituirsi come matriarcale. Chi conosce bene i luoghi dove è girato il film, tutto ciò può capirlo anche meglio”.
Dopo due perle come Dallas Buyers Club e Las brujas de Zugarramurdi, doveva arrivare il film che ci avrebbe fatto storcere il naso. E così è stato con La luna su Torino di Davide Ferrario. Occasione sprecata di omaggiare la città dove già il regista aveva ambientato il ben più riuscito Dopo Mezzanotte, attraverso questa storia di ordinaria coabitazione di tre thirtysomething indecisi sulle possibili strade da prendere nella vita. Dicevamo di un film poco riuscito perché La luna su Torino soffre del suo non decidere mai se essere una pura commedia o un’amara parabola generazionale e, nel dubbio, finisce per essere un ibrido un po’ stantio. Dialoghi al limite dell’inverosimile e recitazione piuttosto amatoriale appesantiscono il tutto.
Grazie a Eugenio Boiano e Massimo Frezza
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