La quinta giornata del Festival di Roma si apre con la fiera delle atrocità e del politicamente scorretto di Eli Roth.
A ben sei anni da Hostel II il protégé di Quentin Tarantino porta infatti a Roma, Fuori Concorso, il suo nuovo horror The Green Inferno, che non deluderà i suoi cultori e alla fine mantiene tutto ciò che un film di Eli Roth, almeno sulla carta, promette.
La storia è quella di un gruppo di giovani che si imbarca per la foresta amazzonica con l’intento di testimoniare lo scempio perpetrato da una compagnia petrolifera peruviana ai danni delle tribù locali. Sulla via del ritorno, un incidente aereo li costringe ad un’inaspettata permanenza in quel territorio inospitale, alla mercé proprio di quella popolazione indigena che credevano di aiutare e da cui invece dovranno cercare di difendersi.
Se la struttura narrativa (ragazzi vessati e torturati da terzi) e il citazionismo di fondo (i richiami a Cannibal Holocaust di Ruggero Deodato sono evidenti sin dall’inizio) sembrano, all’apparenza, richiamare i precedenti film del regista americano, ad uno sguardo più acuto appare chiaro come la posta in gioco qui sia più alta.
The Green Inferno infatti, mentre assolve la funzione perturbante a cui qualsiasi horror è destinato, mostra la sua vera natura di film profondamente politico e riflette in maniera lucidissima su temi importanti come l’ambientalismo, di cui critica aspramente la sterilità di certe derive da social network, e lo scontro tra culture agli antipodi, sia geograficamente che da un punto di vista di evolutivo e sociale.
Eli Roth, oggi a Roma per accompagnare il suo film, ci ha raccontato la genesi del suo progetto e i tantissimi rimandi e omaggi al cinema di genere italiano che The Green Inferno contiene.
“Amo profondamente il cinema di genere italiano. Sono cresciuto con i film di Dario Argento, Lucio Fulci, Sergio Martino, Mario e Lamberto Bava. All’inizio non comprendevo le motivazioni del doppiaggio, ma poi ho scoperto delle regole stabilite ai tempi del fascismo, le motivazioni di quella tradizione e mi sono appassionato. Il fatto è che nessun altro cinema sia in grado di raccontare la violenza come quello italiano. Pensando a film come Cannibal Holocaust, mi dicevo che quei registi dovessero finire in carcere, perché sembrava davvero che, per girare, avessero ucciso e commesso cose atroci. Poi ho conosciuto dal vivo Ruggero Deodato, ci sono andato a cena proprio ieri, ed è davvero una persona amabile, che ha saputo coniugare l’estetica realistica di Rossellini con la violenza esasperata di Sergio Corbucci. Ha creato un nuovo genere di commistione tra lo sguardo finto documentaristico e il cinema di genere, aprendo le porte all’horror di oggi, da Cloverfield a Paramormal Activity. I giovani oggi amano questo tipo di film. E io volevo fare qualcosa per loro, anche per raccontare quest’assurda propensione tutta contemporanea di impegnarsi, condurre le grandi battaglie, salvare il mondo, standosene comodamente seduti a casa al computer o twittando da uno smartphone. Ecco, si è perso il senso delle cose reali. Perciò volevo fare un tipo di cinema pericoloso e soprattutto che fosse in prima linea. Che poi è quello che mi ha insegnato il mio guru Quentin Tarantino, che mentre gira non guarda mai il monitor seduto su una sedia, perché questo tipo di cinema “gli affloscia il cazzo”, come ama ripetere. Così siamo andato in Amazzonia, abbiamo superato tutti i confini, fino ad arrivare in Perù, tra gente che non sapeva neanche cosa fosse un film, lontana dalla tecnologia. Ho fatto vedere loro Cannibal Holocaust… E ora per loro il cinema è quello: incredibile!”.
Purtroppo I corpi estranei di Mirko Locatelli, In Concorso, ci ha messo pochissimo a riportarci alla dura realtà.
Anche questo film, come quello di Eli Roth, parla dello scontro tra due culture, ma lo declina però in una maniera intimistica che più intimista non si può, senza il minimo interesse verso qualsiasi forma di intrattenimento.
In un ospedale milanese, Antonio (Timi) aspetta che il suo bambino venga sottoposto ad un delicato intervento chirurgico mentre il giovane tunisino Jaber, nella stanza di fronte, assiste l’amico Youssef. Mentre Antonio mostra da subito, verso il ragazzo, una forma di ostilità velata di ignoranza e razzismo, quest’ultimo cerca in più di un modo di stabilire un contatto umano che, solo in parte, i due riusciranno a creare.
Pesante e noioso, nonostante duri poco più di novanta minuti, I corpi estranei mostra tutti i difetti tipici dei film che hanno una tesi da dimostrare e molto poco da mostrare.
Tutto poggia infatti sulle spalle di Filippo Timi, che Locatelli (ex documentarista) insegue per i corridoi dell’ospedale come un animale in gabbia, riprendendolo quasi sempre di spalle (a tratti tornano in mente Darren Aronofsky e il suo wrestler Mickey Rourke) ma, a parte l’intensità di un attore italiano mai meno che bravo e la bella colonna sonora dei Baustelle, il film in sé è davvero poca cosa. Trascurabilissimo.
Sempre In Concorso, e presentato qui a Roma in anteprima mondiale, l’atteso Out of the Furnace, secondo film di Scott Cooper (dopo Crazy Heart) con la coppia Christian Bale e Casey Affleck, nei panni dei due fratelli protagonisti, affiancati da un cast di tutto rispetto tra cui Woody Harrelson che fa il cattivo, Forest Whitaker un poliziotto, e poi ancora Zoe Saldana, Sam Shepard e Willem Dafoe. Per non parlare dei produttori Leonardo DiCaprio, che in un primo momento avrebbe dovuto essere anche il protagonista, e Ridley Scott. Tanti nomi della Hollywood più in vista per raccontare un toccante dramma dai risvolti noir ambientato nell’Indiana qualche anno fa. Slim (Bale) è finito in carcere per avere causato un incidente stradale. Dopo aver scontato una lunga pena torna in libertà con l’unico desiderio di rifarsi una vita e tener fede alla promessa di matrimonio fatta alla sua ragazza (Zoe Saldana). La vita però gli riserva un futuro diverso e Slim si ritrova nel losco giro di scommesse legate ai combattimenti clandestini nei quali è coinvolto suo fratello Rodney (Affleck), appena tornato dall’Iraq, che nulla vuol sapere di lavorare in acciaieria con lui. Pellicola indie in tutto e per tutto, nonostante i nomi altisonanti che hanno preso parte al progetto, Out of the Furnace è un perfetto spaccato della società americana, quella più alienata, buia, violenta e periferica, in cui la sola giustizia che sembra avere un senso è quella che il singolo cittadino è costretto a farsi da solo. Intense le prove di Christian Bale e di Casey Affleck in due ruoli agli antipodi, anche se entrambi particolarmente ruvidi, ma la storia in alcuni punti è un po’ troppo didascalica per coinvolgere fino in fondo.
Peccato poi che qui a Roma questo film sia arrivato orfano: nessuno del cast artistico o tecnico iè infatti venuto a presentarlo, tanto che al posto della tradizionale conferenza stampa attesa nel primo pomeriggio di oggi, è stato prontamente organizzato un altro evento in sostituzione. Quindi dovrete accontentarvi del trailer:
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