Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Che cosa succede quando un donnaiolo, refrattario anche solo all’idea di una relazione seria, incontra la ragazza più bella che abbia mai visto?
Quello che sulla carta sarebbe l’incipit ideale (anche se un po’ scontato) per una serie pressoché infinita di commedie romantiche, viene volutamente complicato, nell’interessante esordio alla regia dell’attore Joseph Gordon-Levitt (500 giorni insieme, Inception), da un paio di fattori di disturbo.
Il protagonista maschile, Jon (interpretato dallo stesso Gordon-Levitt) è infatti un fruitore compulsivo di pornografia e Barbara (Scarlett Johansson), oltre ad essere la ragazza più bella che lui abbia mai visto, è alla ricerca della storia d’amore perfetta, con un ideale piuttosto rigido di principe azzurro che mal si sposa con la passione di Jon per il suo vizietto.
Ecco quindi che la faccenda si fa più interessante laddove Don Jon, pur non discostandosi mai da una leggerezza di fondo che per molti versi lo rende, di fatto, una commedia romantica, cerca di prendersi dei rischi, sia in termini narrativi che formali, che lo elevino dagli standard un po’ triti del genere.
Rischia innanzitutto perché attraverso la scansione metronomica delle giornate di Jon (tutte palestra, chiesa e masturbazione davanti al monitor di un PC) descrive un contesto molto poco consolatorio, forse per alcuni anche spiazzante, che più che alle classiche romantic comedy americane sembra avvicinarsi a una versione soft del bellissimo Shame di Steve McQueen (film con cui Don Jon ha più di un punto di contatto, a partire da un uso del montaggio tutto teso ad evidenziare la ritualità e la reiterazione ossessiva delle pratiche quotidiane del protagonista) e perché, almeno fino a un certo punto, ha il coraggio di non azzardare mai nulla che assomigli ad un giudizio morale.
In questo Don Jon è figlio di quella generazione di autori americani (Edward Burns e Judd Apatow su tutti) che hanno contribuito a traghettare – anche attraverso i riferimenti insistiti al sesso e le dissertazioni spesso colorite sulla natura dell’amore – la commedia romantica à la Nora Ephron (C’è posta per te per intenderci) verso quei lidi forse meno rosei, ma indubbiamente più sfaccettati e realistici che hanno portato poi alla nascita del filone mumblecore.
Dicevamo di un film che rischia fino a un certo punto perché purtroppo, complice forse l’inesperienza del giovane regista (qui anche sceneggiatore), il gioco mostra ben presto la corda, e lo fa attraverso l’introduzione di un personaggio esterno “adulto” (Julianne Moore) che, agendo da osservatore partecipe, contribuisce a dare una sorta di coloritura morale alla storia, riportandola su binari più buonisti e ristabilendo, in qualche modo, un ordine etico assolutamente non richiesto.
E’ un errore che però si perdona volentieri a Joseph Gordon-Levitt perché Don Jon è un film fresco che, seppure non al livello di un capolavoro come Molto incinta del succitato Apatow, non ricerca la risata facile e si prende il lusso di riflettere con allegria (mai con sarcasmo) su temi anche importanti come la solitudine e le aspettative reciproche che spesso alimentano e, allo stesso tempo, uccidono i rapporti.
Anzi, viene quasi da voler bene a Joseph Gordon-Levitt e al suo piccolo film d’esordio.
Perché c’è un gran bisogno di film come Don Jon. Almeno fino all’uscita nelle sale di Her di Spike Jonze.
Voto: 7
Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.
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