Dietro i candelabri

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Liberace (qui interpretato da un Michael Douglas in odore di Oscar), pianista in auge tra gli anni 50 e 70, è stato l’antesignano di tutto il kitsch e il glamour che artisti come Elton John e Freddie Mercury avrebbero sdoganato negli anni a venire, nonché gay (palese seppur non dichiarato) in un’epoca in cui nessun personaggio famoso poteva nemmeno immaginare di fare qualcosa che assomigliasse a un outing.



Figura forse poco nota dalle nostre parti, in America ha rappresentato in quegli anni un vero e proprio fenomeno di costume, fino a diventare l’artista con i cachet più alti del mondo.

Laddove la complessità e la stravaganza del personaggio ne farebbero il classico soggetto da biopic hollywoodiano, l’intelligenza di un regista come Steven Soderbergh (e di Richard LaGravenese che il film lo ha scritto) sta invece tutta nel puntare lo sguardo su un particolare momento della parabola umana e artistica di Liberace, che coincide più o meno con l’inizio del suo crepuscolo.

Il film, già presentato In Concorso all’ultimo Festival di Cannes e realizzato per il canale televisivo HBO, inizia infatti nel 1977, quando un Liberace già piuttosto avanti con l’età, alla fine di un suo concerto, incontra il giovane Scott Thorson (Matt Damon) e se ne invaghisce all’istante. In breve tempo Scott diventa amante e assistente tuttofare della star e la relazione tra i due si intensifica al punto che quest’ultimo prende in seria considerazione l’idea di adottare il ragazzo.

Qualora l’aver citato LaGravenese, autore anche dello script de I ponti di Madison County, possa indurre qualcuno nell’errore di pensare a Dietro i candelabri come ad una romantica love story sulla differenza d’età, è importante chiarire subito come questo film non abbia nulla a che vedere con l’amore. Tratta dall’omonimo libro dello stesso Scott Thorson, in realtà è una pellicola che parla di ossessioni.
Ossessione per il tempo che passa innanzitutto. Liberace viene infatti da subito introdotto come un uomo in forte conflitto con la propria età anagrafica (ricorse numerose volte alla chirurgia estetica in un’epoca in cui farlo non rappresentava ancora una prassi consolidata) e il rapporto che sviluppa con Scott non può non richiamare alla mente Oscar Wilde e il suo Ritratto di Dorian Gray.

E poi è un film sulla mania del possesso. E sull’avidità in generale. Il personaggio di Scott, che sulle prime potrebbe apparire come una sorta di Candide voltairiano, in realtà intuisce da subito le possibilità di riscatto sociale ed economico che il rapporto con Liberace gli offre ed è fermamente intenzionato a non lasciarsele sfuggire.E, in ultima analisi, è un film sugli eccessi, e questo è forse l’elemento che connota maggiormente Dietro i candelabri e che, alla fine, lo porta ad essere un affascinante ibrido tra Viale del tramonto e Boogie Nights.

L’occhio di Soderbergh è attentissimo nel non trascurare nessuno dei dettagli utili a denotare lo sfarzo di cui Liberace si era contornato nel corso della sua vita. Che siano pellicce, enormi anelli d’oro o colonne greche, tutto contribuisce a ricostruire un immaginario decadente tipico della seconda metà degli anni 70 – ricostruiti qui in maniera fedelissima – in cui sembrava che nulla fosse mai troppo, giusto un attimo prima che il decennio successivo e l’incubo dell’AIDS ridimensionassero tutto.

Steven Soderbergh, reduce da una serie di film attraverso i quali ha cercato di ridefinire i confini tra genere e film d’autore (dall’horror di Contagion al thriller Effetti collaterali) firma con Dietro i candelabri il suo capolavoro. Punta in alto, è evidente, citando Orson Welles (Liberace è a tutti gli effetti una deriva glam di Charles Foster Kane) e regalando a Michael Douglas l’interpretazione migliore della sua maturità, se non addirittura di un’intera carriera.

Tutti i membri del cast in realtà fanno un lavoro egregio, da un Matt Damon in crescita costante al redivivo Rob Lowe (eccezionale nel ruolo di un chirurgo plastico cocainomane) fino a Debbie Reynolds (nel film è l’anziana madre di Liberace), il personaggio che più degli altri funge da trait d’union tra la vicenda raccontata e gli anni in cui è ambientata, da molti considerati mitici e ammantati di innocenza e di cui Dietro i candelabri sembra voler mostrare il lato più selvaggio e oscuro.


Voto
8

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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