Molière in bicicletta

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Gauthier Valence (Lambert Wilson) e Serge Tanneur (Fabrice Luchini) sono due vecchi amici. Entrambi attori, nel corso degli anni, hanno intrapreso strade professionali e umane diametralmente opposte. Se Gauthier infatti ha trovato fama e successo interpretando il ruolo di un chirurgo in un medical drama televisivo, Serge ha abbandonato le scene al culmine della sua carriera, ritirandosi in una sorta di esilio dorato su un’isoletta francese.
Quando Gauthier decide di tentare la svolta del teatro impegnato, parte alla volta di Île de Ré per tentare di convincere Serge a rompere il suo isolamento e a tornare sulle scene per recitare insieme in un adattamento del Misantropo di Molière.
Quest’ultimo, dopo un’iniziale ritrosia, chiederà all’amico una settimana di tempo per decidere.
Tra prove infinite, passeggiate in bicicletta e l’incontro con Francesca (Maya Sansa), un’affascinante ragazza italiana, la convivenza tra i due attori si rivelerà più complessa di quanto Gauthier non avesse previsto.



Complice il passaggio all’ultimo Torino Film Festival, questa raffinata commedia, campione d’incassi in patria, trova la strada della distribuzione italiana. Ed è una curiosa coincidenza quella che porta nelle sale, a poche settimane di distanza l’uno dall’altro, due film francesi che del rapporto tra teatro e vita reale: Mòliere in bicicletta, per l’appunto, e Venere in pelliccia di Roman Polanski.

Il paragone non sembri azzardato. Entrambi i film vedono infatti una coppia di protagonisti in qualche modo costretti a coabitare in uno spazio fisico “chiuso” – il piccolo teatro nel caso di Polanski e l’isola nel film di Philippe Le Guay (Le donne del sesto piano) – e in tutti e due i casi il teatro diventa ben presto la scusa per riflettere sui ruoli che si recitano nella vita e su come questi, sovente, ci blocchino in posizioni precostituite e non ci permettano di evolvere.

Solo che laddove Polanski parte quasi subito per la tangente – per lui usuale – del gioco al massacro onde confezionare un raffinatissimo meccanismo a orologeria, Le Guay si accontenta di firmare una garbata commedia in cui si gioca con le classiche dicotomie “cultura alta VS cultura bassa” (la scena in cui i due riesumano un apparecchio TV per guardare una puntata della fiction in cui recita Gauthier è indicativa di questo approccio) e “grande città VS isola” per costruire una cornice leggera alle dissertazioni dei due protagonisti sulla figura di Alceste – protagonista del Misantropo – e sulla giusta enunciazione dei versi alessandrini.

Anche se contraddistinto da due belle prove attoriali (so che non c’entra nulla ma la somiglianza fisica tra Lambert Wilson e Rupert Everett è straordinaria) il risultato è lieve e non riesce mai a pungere neanche dove potrebbe osare di più, decidendo invece di restare sempre all’interno dei lidi inoffensivi di una commedia colta (ma non troppo) che piace agli intellettuali perché “si ride ma c’è pur sempre di mezzo Mòliere” e non scontenta neanche il pubblico meno colto che ha l’impressione di divertirsi in maniera “intelligente”.

In definitiva un film anche piacevole, ma un po’ cerchiobottista.

Voto 5

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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