Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Qual è il prezzo in denaro della la vita di un uomo?
Il nuovo film di Paolo Virzì sembra ruotare tutto attorno a questa domanda e alle amarissime risposte che l’autore livornese trova, adattando per il grande schermo l’omonimo romanzo di Stephen Amidon.
In uno qualsiasi di quei paesi della Brianza col suffisso in -ate e il mito del self-made man all’italiana, la collisione tra Dino Ossola (Fabrizio Bentivoglio), titolare di un’agenzia immobiliare sull’orlo del fallimento e il magnate della finanza “creativa” Carlo Bernaschi (Fabrizio Gifuni) dà il la a una fiera delle mediocrità che descrive in maniera perfetta la miseria umana e le derive morali che affliggono i nostri tempi.
A fare da (pessimo) corollario umano a questi due archetipici capifamiglia troviamo le loro rispettive mogli, Roberta (Valeria Golino) e Carla (Valeria Bruni Tedeschi) che, in modi del tutto antitetici, hanno trovato una personale via per la sopravvivenza nell’imporsi di vedere solo una parte di ciò che le circonda. E due figli adolescenti (reale trait d’union tra le famiglie) che, seppure all’apparenza innocenti, saranno condannati a portare il peso delle scelte paterne per il resto della vita.
Il tutto si consuma nei giorni che precedono il Natale con, sullo sfondo, un’indagine investigativa tesa a identificare il pirata della strada colpevole dell’investimento di un ciclista.
Accantonati i toni intimisti di Tutti i santi giorni e messa in stand by qualsiasi forma di goliardia toscana, Virzì si scopre una vena più caustica e ci mostra come la linea di demarcazione tra mostri e normali sia spesso molto più sottile di quanto non si creda.
Il risultato è una sorta di contraltare nordico della cialtroneria romana mostrata in Tutta la vita davanti, spogliata però dell’ironia che, in quel caso, contribuiva a smussarne gli spigoli.Qui infatti non c’è più spa zio per la risata. Al limite si può sorridere, ma a denti strettissimi.
C’è un inedito respiro internazionale che abita la plumbea cattiveria de Il capitale umano, eredità senz’altro della matrice letteraria, ma anche frutto della volontà di Virzì di smarcarsi in maniera decisa da tutti i modelli a cui è stato progressivamente accostato nel corso della sua carriera.
Non c’è traccia infatti né dei Parenti Serpenti di monicelliana memoria né dei Mostri di Risi in questo nerissimo psicothriller sociale, mentre è più al Fargo dei fratelli Coen che il regista toscano sembra volgere lo sguardo o, per rendere meglio l’idea, a un’ideale versione brianzola di Magnolia di P.T. Anderson.
Con l’aiuto alla scrittura dei suoi sodali Francesco Bruni e Francesco Piccolo, Paolo Virzì approccia la Brianza da straniero, come se fosse il Connecticut del libro di Amidon e così, privo delle usuali coordinate geografiche e umane, firma il suo film più bello e completo, anche grazie a un cast eccezionale che, al netto di una sceneggiatura serrata e davvero ben scritta, rende Il capitale umano un esempio di recitazione altissima.
Mentre Bentivoglio, lavorando sugli eccessi, costruisce un personaggio estremamente complesso, maschera grottesca e rappresentazione magistrale di ciò che oggi è da intendersi come “mostro”, Fabrizio Gifuni dà libero sfogo ai suoi istinti più bassi e, lasciandosi alle spalle un curriculum di ruoli ben più edificanti, incarna il lato oscuro della Milano dell’alta finanza. Non si salva nessuno in questo amaro apologo dell’Italia di oggi; né i giovani, viziati e resi insensibili dalla vacuità borghese dei modelli genitoriali, né le donne, complici in quanto cieche di fronte agli errori dei loro compagni.
Non si salva nemmeno l’intellighenzia di sinistra (un sempre bravo Luigi Lo Cascio in un ruolo minore) pronta a svendersi, senza neanche pensarci troppo, per un posticino al sole accanto ai potenti.
Il quadro umano che ne esce è impietoso. E fa male perché è pericolosamente simile alla realtà.
Voto 8
Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.
Il fascino (in)discreto della borghesia secondo Virzì, nel suo lavoro più cupo e completo. La nostra recensione.
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