Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Siamo nel Greenwich Village, esattamente un attimo prima che Bob Dylan salga su un palco per cantare che “i tempi stanno per cambiare”.
Il folk non è ancora il fenomeno musicale che marchierà a fuoco tutta la controcultura a venire, ma solo uno stile, sia musicale che di vita, che permette a un pugno di giovani talentuosi di immaginare una vita fuori dal grigiore delle periferie e del posto fisso, semplicemente imbracciando una chitarra.
Se tutto va bene può capitarti di firmare il contratto che ti cambia la vita.
Se invece va male ti ritrovi a fare la spola tra i divani dei tuoi amici in mancanza di altri posti in cui dormire.
A Llewyn Davis (Oscar Isaac) sta andando decisamente male.
Nonostante sia dotato di indubbio talento e piena sicurezza nei propri mezzi, la sua carriera sembra girare a vuoto. Le copie del suo primo disco da solista giacciono invendute nel magazzino di una minuscola casa discografica e il numero dei divani sui quali dormire si assottiglia sempre di più.
Nell’arco di una fredda settimana d’inverno Llewyn Davis si troverà ad affrontare la più difficile delle scelte: continuare a provarci o rinunciare ai sogni di gloria per trovarsi un lavoro.
I Coen, nel corso della loro carriera, ci hanno già abituati ad un serrato turnover tra capolavori assoluti (Il grande Lebowski, Non è un paese per vecchi), film decisamente belli (L’uomo che non c’era, A Serious Man) e progetti fuori fuoco, quando non del tutto sbagliati (Prima ti sposo, poi ti rovino, Burn After Reading).
Oggi, dopo il mezzo scivolone del remake de Il Grinta, i due autori tornano con questo gioiellino da cui trapela la loro vena più intima, che si va a collocare in un interstizio esattamente a metà strada tra le prime due categorie succitate.
Nella piccola odissea di uno squattrinato folksinger (dichiaratamente ispirata a Dave Van Ronk e al suo memoir The Mayor of MacDougal Street) i fratelli di Minneapolis trovano infatti nuova linfa vitale e hanno modo di costruire, attorno a questo malinconico e poeticissimo loser, un teatrino di personaggi bislacchi e dei loro folli incontri che tanto ricorda quanto già apprezzato in film come Barton Fink e A Serious Man.
Cito questi due film non a caso perché, insieme a questo A proposito di Davis, vanno a formare un’ideale trilogia coeniana che racconta l’epica del fallimento con una profondità e un’ironia (reale cifra distintiva di tutto il cinema dei Coen) che non hanno eguali.
Per l’occasione i due ritrovano per strada anche John Goodman, per anni loro attore feticcio, qui strabordante (in tutti i sensi) nel ruolo di un jazzista eroinomane che prova invano a disilludere le velleità artistiche del protagonista.
Strutturato in maniera circolare, proprio come una ballata folk in cui la prima strofa molto spesso coincide con l’ultima, A proposito di Davis è opera colta che, lungi dall’essere un mero omaggio all’estetica sixties del Greenwich Village, parla dell’arte e del perenne scontro tra questa e il sistema.
Trattandosi di un film dei Coen l’epilogo di questo scontro non è in alcun modo consolatorio, anche se l’amarezza della sconfitta, qui suggerita sfruttando tutta l’eleganza di un bianco e nero mai così evocativo e il gelo, quasi percepibile fisicamente, dell’inverno newyorkese, non è mai apparsa così poetica.
A suggello di tutto poi c’è la musica, vero motore trainante della storia.
La bellissima colonna sonora curata da T-Bone Burnett – già collaboratore dei Coen per Fratello dove sei? – partecipa al film come qualsiasi altro attore fino quasi a diventarne coprotagonista insieme a Oscar Isaac che, oltre a recitare (benissimo) nel ruolo di questo imbronciato e scorbutico hobo, canta quasi tutti i brani che ascoltiamo nel film.
Ora resta solo da capire se i fratelli Coen faranno seguire a questo film un capolavoro assoluto, uno decisamente bello oppure uno sbagliato.
Speriamo vivamente nella prima ipotesi.
Voto: 8
Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.
I fratelli Coen tornano alla carica con una storia in cui malinconia, musica e umorismo si fondono perfettamente.
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