Lone Survivor

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Marcus (Mark Wahlberg), Mickey (Taylor Kitsch), Danny (Emile Hirsch) e Axe (Ben Foster) sono quattro Navy Seal di stanza in Afghanistan, alla vigilia di un’importante missione.
Vengono infatti mandati in ricognizione sulle montagne per localizzare il villaggio dove si nasconde Ahmad Shah, leader talebano responsabile della morte di numerosi marine.
Una volta arrivati sul luogo però le cose non vanno esattamente come previsto.
Perso il contatto radio con la base e imbattutisi in alcuni pastori collaborazionisti, gli uomini si trovano ben presto soli e allo scoperto, costretti a difendersi con le unghie e coi denti  da un piccolo esercito di talebani, nell’attesa di un appoggio aereo che tarderà ad arrivare.
Il profondo senso di amicizia e di reciproca protezione che li lega e il pensiero rivolto a ciò che li aspetta in patria saranno gli unici valori a cui aggrapparsi nello strenuo tentativo di sopravvivere.



Peter  Berg (The Kingdom, Hancock) traduce in immagini il libro autobiografico di Marcus Luttrell, uno dei protagonisti di questa storia, e pare che il progetto gli fosse così caro da indurlo ad accettare di dirigere il precedente e scialbo Battleship come moneta di scambio per ottenere il giusto supporto produttivo.
Pellicola che, a un occhio distratto (o peggio malizioso) potrebbe apparire come un mero strumento di propaganda interventista o anche solo semplice apologia del superuomo, in realtà Lone Survivor è opera potentissima, per la corretta valutazione della quale è fondamentale spogliarsi di eventuali pregiudizi e prescindere da qualunque tipo di istanza politica.
Questo perché il film di Berg, prima di essere un action movie fondato sul classico meccanismo dicotomico “America VS cattivi”, è un lucidissimo apologo sulla lotta per la sopravvivenza.
In maniera non dissimile dal capolavoro dello scorso anno Gravity di Alfonso Cuarón o dal  bellissimo All Is Lost di J.C. Chandor, anche qui si ragiona su cosa sia disposto a fare un uomo che si trovi all’improvviso in bilico sulla sottile linea che separa la vita dalla morte.
Solo una volta superato il manicheismo di una visione della realtà fatta di soli bianchi e neri, ci si può godere questo intenso spettacolo interamente composto di sfumature di grigi.
L’approccio di Berg alla guerra è infatti più o meno lo stesso da lui già adottato nel descrivere le dinamiche interne al mondo del football nella serie TV Friday Night Lights, a partire dall’amicizia virile, concetto già ben presente – seppure sviluppato in maniera grottesca – nel suo esordio da regista Cose molto cattive.

Muscolare e visivamente ricchissimo, Lone Survivor immerge da subito lo spettatore in un contesto ostile.
Lo fa aprendo il film in una base militare vissuta come un possibile succedaneo di casa: i soldati chattano con le mogli e parlano di regali di matrimonio, tappezzano le pareti dei propri alloggi con foto di persone care e fanno a gara correndo tra carri armati ed elicotteri, quasi come se non ci si trovasse in guerra dall’altra parte del mondo ma in un qualsiasi schoolyard di provincia.
Poi, subito dopo, l’inferno.
Nulla che ricordi la “guerra intelligente” vista in Homeland però.
Non ci sono droni in Lone Survivor. Solo quattro uomini armati, di fucili e di tutta la paura del mondo, e il loro calvario di cui nulla ci viene risparmiato.
Neppure una delle rovinose cadute o delle ferite inflitte ai quattro dal fuoco nemico sfuggono alla macchina da presa.
A rendere l’effetto ancora più straniante contribuisce il supporto musicale degli Explosions In The Sky (già autori della colonna sonora di Friday Night Lights) che con il loro estatico post-rock fanno da ideale contrappunto alla concitazione delle (tante) immagini di battaglia.
Felice anche la scelta del cast con un Mark Wahlberg (qui anche produttore) perfettamente in equilibrio tra il tormento interiore di Amabili resti e la fisicità tipica dei suoi ruoli abituali e due dei migliori attori di ultima generazione: Emile Hirsch e Ben Foster, un Ryan Gosling meno fico e più espressivo, di cui sentiremo ancora parlare.

Voto 7

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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