La Bella e la Bestia

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La storia, più o meno, la conosciamo tutti.
1810. Dopo aver perso tutte le sue fortune in mare, un ricco mercante in rovina è costretto ad abbandonare la grande città insieme ai suoi sei figli e a ritirarsi in campagna. Una notte, di ritorno a casa da un viaggio, l’uomo viene sorpreso da una tormenta e trova riparo in un misterioso castello. Il proprietario (Vincent Cassel), un essere mostruoso dalle fattezze leonine, lo condanna a morte per aver rubato una rosa dal suo giardino e la più giovane delle sue figlie, Belle (Léa Seydoux), decide quindi di offrire la propria vita in sacrificio per risparmiare quella del padre. La giovane parte quindi alla volta del castello dove ad aspettarla non troverà però la morte, bensì un mondo fatto di sofferenza e solitudine in cui lentamente riesce a far breccia come un raggio di sole nell’oscurità.



Christophe Gans (Crying Freeman, Il patto dei lupi) torna alla regia dopo ben otto anni dal suo ultimo Silent Hill con questa sontuosa e calligrafica trasposizione filmica di una delle fiabe più famose del mondo.
Lo fa evidentemente in grande stile, con una produzione ricchissima di effetti speciali, ma purtroppo non altrettanto dal punto di vista narrativo.
Dare nuova linfa vitale a una storia così semplice e unidimensionale era in effetti impresa ardua e all’autore francese non basta sviluppare linee narrative secondarie, trascurate nelle precedenti riduzioni, come la descrizione delle dinamiche familiari di Belle, che qui appare come una sorta di Cenerentola malvista da due sorelle ostinatamente a caccia di facoltosi mariti o l’insistito ricorso ai flashback per spiegare come il protagonista sia rimasto vittima della maledizione che lo ha reso Bestia.
Tali deviazioni infatti anziché rinvigorire questo apologo sulla diversità, lo fiaccano, appesantendone la fruizione e rendendone troppo breve – e quindi più inverosimile – il processo di innamoramento di Bella per il suo mostruoso ospite/carceriere.

Certo Gans ha un notevole gusto nella scelta delle inquadrature e la cornice formale, al netto dei numerosi richiami al cinema di Tim Burton, è splendida e, a tratti, molto raffinata.
Solo non basta a giustificare un progetto costosissimo che, al pari dell’Alice in Wonderland del succitato Burton, non riesce a nascondere dietro i fuochi d’artificio la sua vacuità di fondo.
Stupisce in tal senso che non si sia optato per un 3D che avrebbe avuto se non altro il merito di esaltare la componente meramente tecnica dell’opera.
Non si tratta in definitiva di un brutto film – lo ribadiamo – semmai di un compitino anche ben fatto, ma piuttosto scolastico. Corretto, ma con pochi slanci.

Arrivati a questo punto della lettura ci si potrebbe anche stupire del voto non proprio bassissimo in calce all’articolo. Merito dello splendore – e della bravura, ça va sans dire – di Léa Seydoux, reale protagonista del film, che eleva (ahinoi, solo in parte) La Bella e la Bestia da quel senso di sottile inutilità che lo segna sin dalle prime sequenze, in modo non dissimile da come Belle riporta la vita nel castello della Bestia. Prova ne sia il fatto che in tutte le (molte) scene in cui la Seydoux è assente, ci si ritrova a sentirne un po’ la mancanza.

Voto 5

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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