Jimmy P.

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Jimmy Picard (Benicio Del Toro) è un nativo americano della tribù dei Piedi Neri, reduce della Seconda Guerra Mondiale.
In seguito ai danni riportati durante il conflitto bellico, Jimmy soffre di una serie di disturbi che vanno dall’annebbiamento della vista a una serie di fortissime emicranie e che gli rendono impossibile il ritorno ad una vita normale.
Incapace di provvedere a se stesso e per questo accudito dalla sorella maggiore Gayle, l’uomo chiede aiuto presso un ospedale militare in Kansas specializzato nel recupero dei veterani di guerra, dove i suoi scompensi vengono in prima analisi addotti ad una possibile forma di schizofrenia.
Ma la diagnosi non è pienamente convincente e, di fronte all’impossibilità di aiutare Jimmy, lo staff dell’ospedale richiede il sostegno di Georges Devereux (Mathieu Amalric), antropologo e psicanalista ungherese che studia la dimensione psicologica di culture altre da quella occidentale, il quale, nel corso di una serie di incontri con Jimmy intuisce che, alla base dei suoi problemi, possano esserci radici ben più profonde.



Il francese Arnauld Desplechin (I re e la regina, Racconto di Natale) torna al cinema dopo cinque anni di assenza con questo Jimmy P., presentato in concorso alla 66° edizione del Festival di Cannes e candidato al premio César come miglior film, realizza la sua prima trasferta oltre oceano.
Basato su un saggio scritto dallo stesso Deveraux (Reality and Dream – Psychothérapie d’un Indien des Plaines) pubblicato nel 1951, Jimmy P. è un film anomalo, quasi esclusivamente costruito sui dialoghi, seppur non esente da interessanti scelte stilistiche che, affastellando piani temporali in maniera non diacronica e scorci di natura selvaggia, rimandano piuttosto chiaramente a certe suggestioni Malickiane.
Ma, al netto di una confezione formale impeccabile, la sensazione principale che il film lascia alla fine è comunque quella di aver assistito a una lunga seduta di psicanalisi.

Nonostante le premesse iniziali non siano del tutto prive di interesse, Jimmy P. è un film irrisolto.
Desplechin, forse troppo consapevole del valore dei due attori protagonisti, perde quasi immediatamente di vista il pathos da cui un film di questo tipo non può e non deve prescindere e asciuga eccessivamente un’opera anche affascinante, ma tutto sommato fredda, che fatica a coinvolgere e che finisce per penalizzare anche le singole prove attoriali.
Sia Benicio Del Toro che Mathieu Amalric infatti risultano un po’ imbrigliati da tanta verbosità (cosa che, ad esempio, non accadeva ad Amalric nel bellissimo e sottovalutato Venere in Pelliccia di Polanski) e, quasi come se si sentissero investiti della responsabilità di dare ritmo a uno script troppo schematico e privo di colpi di scena, esagerano entrambi nella caratterizzazione dei loro personaggi fino quasi a renderli caricaturali.
Film non privo di spunti di interesse quindi, ma l’impressione è che si sia sprecata un’occasione importante: quella di valorizzare la sensibilità tutta europea di un autore come Arnauld Desplechin con le possibilità fornite da Hollywood.

Voto 5

NdR: Il film, a partire dal 20 marzo, sarà distribuito sia nelle sale che in streaming sulle principali piattaforme di Video on demand: Chili, Cubovision, Google Play, Infinity, iTunes e Premium Play.

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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