La luna su Torino

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Ugo (Walter Leonardi) è un quarantenne che non ha lavorato un solo giorno in vita sua e passa le giornate tra una lettura di Leopardi ed escursioni in bicicletta per le vie della città.
In seguito alla prematura morte dei genitori, l’uomo ha infatti ereditato una casa sulle colline torinesi dove ospita Maria (Manuela Parodi), giovane commessa in un’agenzia di viaggi con ambizioni da attrice, e Dario (Eugenio Franceschini), un universitario ventenne che lavora al bioparco.
Insoddisfatti di ciò che hanno ma, allo stesso tempo, indecisi sulle possibili strade da prendere nella vita, i tre si barcamenano tra divagazioni poetiche e piccole disavventure sentimentali.



Presentato lo scorso autunno al Festival Internazionale del Film di Roma, La luna su Torino segna il ritorno di Davide Ferrario (Tutti giù per terra, Guardami) al lungometraggio di finzione e un nuovo omaggio del regista a Torino, città dove era già ambientato Dopo mezzanotte.
E se, da un lato, Ferrario cerca evidentemente di rielaborare le suggestioni di quel riuscito film, partendo ad esempio dalla stessa rigidità di coordinate spaziali (in quel caso la Mole Antonelliana e qui il 45° parallelo), l’esito in questo caso è però di tutt’altro valore.
Il film è infatti un pasticcio senza capo né coda, che finisce col rappresentare un corollario di tutto ciò che oggi il cinema italiano dovrebbe evitare di essere.
Su un’idea di base già di per sé inconsistente, Ferrario costruisce un filmetto colto nelle intenzioni, ma esilissimo nei risultati che sfigurerebbe anche come prova d’esame in una qualsiasi scuola di cinema.
Con’un aderenza pressoché perfetta al mood dei personaggi che racconta, La luna su Torino è perennemente indeciso sulla sua ragion d’essere, in bilico tra la commedia generazionale e l’amaro apologo esistenziale e si perde ben presto in una ridda di citazioni sterili e di dialoghi ai limiti dell’inverosimile.
Il tutto poi è appesantito da una recitazione forzata, quasi amatoriale.

Spiace vedere un autore che ricordavamo brillante e a proprio agio con questo stesso genere di tematiche naufragare in questo esercizio di stile pieno di voci off e dissertazioni pseudofilosofiche sul senso della vita.
Non si registra un guizzo che sia uno ne La luna su Torino, nemmeno in uno stile registico che rimane ancorato con pervicacia a quelle inquadrature sghembe – cifra distintiva di tutto il cinema di Ferrario – che potevano risultare interessanti giusto fino alla metà degli anni novanta.
E spiace ancora di più perché nel frattempo il cinema italiano qualche passo in avanti lo ha fatto, anche se Ferrario, affetto dal tipico snobismo dell’intellettuale che rifiuta qualsiasi tipo di aderenza alla realtà, sembra non essersene accorto. Non si spiega altrimenti questa storia di precari che passano intere giornate a interrogarsi sul senso della vita e dell’amore, senza preoccuparsi mai di faccende magari meno “alte”, ma più squisitamente pratiche come, ad esempio, sbarcare il lunario.
Molto meglio allora il divertentissimo Smetto quando voglio di Sidney Sibilia o anche solo il semplicemente onesto La mossa del pinguino di Claudio Amendola che, nella loro totale assenza di velleità colte, riescono comunque a rimanere attaccati a un qualcosa che somigli alla vita reale e, se non altro, a strappare un sorriso.

Voto 4

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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