Yves Saint Laurent

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“Non sono un sarto, ma un fabbricante di felicità”.
(Yves Saint Laurent)
1957. Il Regno Unito fa esplodere la sua prima bomba all’idrogeno nell’Oceano Pacifico, l’ Unione Sovietica lancia nello spazio lo Sputnik, il primo satellite artificiale della storia e a Parigi un giovane stilista di origini algerine, si affaccia su un mondo che presto sarà ai suoi piedi. Yves Saint Laurent (Pierre Niney) che lavora per la Maison Dior da quando ha diciassette anni, dopo la morte del suo fondatore, Christian Dior, si ritrova, appena ventunenne, a succedergli alla direzione creativa della nota casa di moda. Si concentra sulle tappe principali del percorso umano e lavorativo dell’artista YSL, il biopic di Jalil Lespert (attore di successo, soprattutto in Francia, qui al suo primo film da regista): dalla fondazione della propria azienda di moda nel 1962, dopo aver lasciato la Maison Dior, ai tormenti interiori e alle crisi creative che lo hanno accompagnato fino alla fine dei suoi giorni, nel 2008. Ma c’è un secondo fuoco, a parte la moda, attorno al quale ha sempre girato attorno l’esistenza ellittica dello stilista, un fuoco che risponde al nome di Pierre Bergé (Guillaume Gallienne), Compagno, socio in affari, amico e amante di una vita. Scelto come titolo d’apertura della sezione Panorama del Festival di Berlino 2014, Yves Saint Laurent celebra e racconta la figura del couturier ispirandosi liberamente all’accurata monografia della giornalista Laurence Benaïm e potendo contare sul benestare di Pierre Bergé (il quale ha invece rinnegato la pellicola di Bertrand Bonello Saint Laurent, con Gaspard Ulliel, Léa Seydoux, Louis Garrel e Jérémie Renier che probabilmente sarà a Cannes). Fattore, questo, non da poco che ha significato l’utilizzo nel film di abiti originali (La fondazione YSL ne ha prestati 77 alla produzione, a patto che non venissero indossati dalle attrici per più di due ore, per evitare macchie di sudore o altre catastrofi), dai modelli Mondrian alla collezione dedicata ai Ballets Russes, delle location autentiche, (la villa Majorelle di Marrakesch e lo studio di Saint Laurent) e persino degli occhiali da vista di Yves, dalla nota montatura “ingombrante”, utilizzati come una specie di baluardo per difendere la sua proverbiale timidezza.



Completamente diverso da L’amour fou, documentario su Yves Saint Laurent firmato nel 2010 da Pierre Thoretton, il film di Lespert rievoca utilizzando uno stile elegante e formale, tutto il mondo dello stilista, fatto di eccessi, passioni, dipendenze e sfilate, inframezzate dalle crisi maniaco-depressive di cui Saint Laurent ha iniziato a soffrire sin da giovane. Sorprendenti i due protagonisti Pierre Niney e Guillaume Galliene, (già apprezzati rispettivamente in 20 anni di meno e Tutto su sua madre), entrambi provenienti dalla Comédie-Française, come giustamente viene rimarcato accanto ai loro nomi nei titoli di testa. Entrambi sfruttano appieno il bagaglio proveniente dalla loro formazione, utilizzando due approcci differenti ma assolutamente attinenti ai ruoli che interpretano. Niney è un perfetto Yves, con i suoi gesti scattosi e quell’incedere sinuoso in grado di evocare l’innata eleganza che apparteneva e di cui amava circondarsi il couturier; mentre Gallienne, nei panni del solido ed equilibrato Bergé, offre una performance altrettanto coinvolgente, anche se meno appariscente, ottenuta lavorando per sottrazione. Fuziona bene, anche se funge solo da contorno, il resto del cast, dalla delicata Charlotte Le Bon nei panni di Victoire, amica di Yves e sua musa ispiratrice nel primo periodo, a Laura Smet, la figlia di Johnny Hallyday che qui interpreta Loulou de la Falaise, altra musa e compagna di viaggio (e di eccessi) dello stilista negli anni Settanta. Ma c’è anche Nikolai Kinski (figlio di Klaus Kinski) nel ruolo dell’eterno rivale di Laurent, Karl Lagerfeld.

Così facendo Lespert ci lascia immergere completamente nel mondo patinato e surreale di Yves, evocando tempi apparentemente lontani, avvolti da grazia e bellezza, regalandoci immagini nitide e patinate in contrasto con la fragilità, le paure e la proverbiale timidezza del suo eroe decadente. Un omaggio in punta di piedi al maestro dell’haute couture che alterna momenti silenziosi e malinconici ad altri più energici e colorati e che sfocia in un lavoro raffinato e senza mezze misure, un po’ come accadeva nei suoi defilet. Superba, poi, la scelta delle musiche, ad opera di Ibrahim Maalouf, abilissimo ad accostare in un parallelo davvero riuscito la storica sfilata della Russian Ballet Collection, del 1976, alla voce unica di Maria Callas che canta sulle note della Wally di Catalani la celebre aria “Ebben! Ne andrò lontana” nel sottofinale. In una sorta di commiato struggente e maestoso che rappresenta il culmine espressivo del film.

Voto 7

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Carolina Tocci

Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.

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