Song’e Napule

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Paco Stillo (Alessandro Roja) è un giovane pianista napoletano, arruolato – dietro raccomandazione – nella Polizia di Stato e assegnato alla noia di un deposito giudiziario.
Refrattario all’azione e  intollerante verso qualsiasi manifestazione di “napoletanità”, Paco passa le sue giornate facendo il minimo indispensabile, cercando quasi di nascondersi allo sguardo di colleghi e superiori. Fino al giorno in cui il rude commissario Cammarota (Paolo Sassanelli) decide di sfruttare le sue abilità musicali per infiltrarlo nella band di Lollo Love (Giampaolo Morelli), un famoso cantante neomelodico, assoldato per suonare a un matrimonio di camorra al quale, pare, parteciperà il ricercatissimo killer Ciro Serracane.
Una volta calato nella quintessenza della Napoli da lui tanto ripudiata e costretto all’azione, Paco si dimostrerà molto meno pavido di quanto potesse sembrare.



Dopo la parentesi horror di Paura, i Manetti Bros. tornano al loro genere d’elezione, quel poliziesco dai risvolti leggeri bazzicato sin dai tempi de L’ispettore Coliandro, con questo bel film presentato lo scorso autunno al Festival Internazionale del Film di Roma.
Solo che, laddove Coliandro poteva apparire come un semplice (e dichiarato) omaggio al poliziottesco anni Settanta dei vari Lenzi e Di Leo, qui ci troviamo di fronte – complice forse la maggiore secchezza del mezzo cinematografico rispetto alla dilatazione della serialità televisiva – a un film dotato di  ben altro spessore e suscettibile di diverse chiavi di lettura.
Se da un lato infatti permane quel senso di nostalgia per un genere di riferimento, citato in più punti, che denota la passione dell’amante che non si limita a cavalcare un semplice trend (non siamo, per capirci, dalle parti de Il ritorno del Monnezza), l’idea generale è quella di un’opera che sposa i dettami di quello stesso genere in maniera così convincente da superare i confini del puro divertissement fino a diventare un poliziottesco stricto sensu, in maniera non dissimile da quanto accadeva sul versante del noir in Piano 17.

L’ottima resa di questo Song’e Napule (nato da un’idea di Giampaolo Morelli, vero attore feticcio dei Manetti) stupisce ancora di più se si considera come i due fratelli, da sempre abituati a muoversi in una Roma mai oleografica ma comunque per loro di casa, siano riusciti nell’impresa di rappresentare una città difficile come Napoli (soprattutto per chi viene da fuori) in maniera così realistica.
Tenendosi esattamente a metà strada tra il cupo nichilismo di Gomorra e la naturale propensione al comico di Così parlò Bellavista – quest’ultima garantita dalla presenza nel cast di un esilarante Carlo Buccirosso – i due autori trovano la strada giusta per dare alla città una delle migliori vesti filmiche viste da svariati anni a questa parte, dove un’impalcatura malavitosa tristemente nota e comunque in primo piano non riesce mai a celare del tutto un cuore pulsante che è solo poco al di sotto e non ha mai smesso di battere.
Anche per questo il cinema dei Manetti merita rispetto.
Oltre che per la sua generosità e per una capacità di non prendersi mai troppo sul serio che, in tempi in cui anche il più amatoriale dei videomaker sembrerebbe ambire allo status di “autore”, risulta essere merce piuttosto rara.

Voto 7

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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