Transcendence

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Los Angeles, anno 2029. Tutti gli elicotteri da guerra ed i caccia bombardieri saranno completamente autonomi ed equipaggiati con processori neurali in grado di controllare la guida e prendere decisioni di comando. Uno di essi, Skynet, comincerà ad apprendere con una velocità esponenziale e diventerà autocosciente alle 2:14 del 29 Agosto“.
In Terminator 2: Il giorno del giudizio James Cameron descriveva perfettamente il passaggio da macchina intelligente a macchina con coscienza di sé, tema ricorrente in tanti romanzi e film di fantascienza che da tempo si pongono la seguente questione: potrà mai un essere artificiale, pur sofisticatissimo, diventare autocosciente? E se sì, che cosa lo distinguerebbe da un essere umano? In Blade Runner i replicanti venivano scovati attraverso il test Voigt-Kampff, che registrava le risposte fisiche attribuibili a reazioni empatiche di fronte a una situazione emotivamente coinvolgente. Ma pensare e calcolare sono davvero la stessa cosa? Su questo tema, già ampiamente battuto e declinato, ma comunque denso di interesse, è arrivato ad interrogarsi anche Wally Pfister, Oscar per la Miglior Fotografia sul comodino vinto grazie a Inception e stretto collaboratore di Christopher Nolan con cui ha lavorato gomito a gomito sin dai tempi di Memento, che con Trascendence presenta il suo esordio alla regia.



Protagonista della storia è il Dr. Will Caster (Johnny Depp), il più importante ricercatore nel settore dell’Intelligenza artificiale, impegnato nella creazione di una macchina senziente che combini il sapere collettivo con l’intera gamma delle emozioni umane. I suoi controversi esperimenti l’hanno reso sì celebre, ma anche il principale bersaglio di un gruppo di estremisti anti-tecnologia che per fermare uno dei suoi più ambiziosi progetti, la costruzione di una sorta di Dio digitale, ne organizza l’omicidio. Le circostanze costringeranno così la moglie Evelyn (Rebecca Hall) e il suo miglior amico Max Waters (Paul Bettany) a tentare l’impossibile: trasferire la coscienza di Will all’interno di un computer quantistico di ultima generazione per tentare di farlo sopravvivere.

Al netto dei nomi altisonanti che compongono il cast sia artistico (ci sono anche Morgan Freeman, Kate Mara e Cillian Murphy) che tecnico (Christopher Nolan nelle vesti di produttore e lo sceneggiatore Jack Paglen, assoldato dalla Universal per lo script di Battlestar Galactica e già autore di una prima bozza di Prometheus 2), Transcendence si rivela sin da subito un film noioso e prevedibile, costruito su cliché triti e ritriti tipo i rischi provocati dalla tecnologia quando questa sfugge al controllo dell’uomo e il pericolo rappresentato da uno scienziato tanto geniale quanto megalomane che assurge al rango di entità divina. Nulla di nuovo insomma, in questo gigantesco copia-incolla di pellicole che hanno contribuito a rendere la fantascienza un genere cinematografico tra i più fecondi (si va da Tron a Johnny Mnemonic, passando per 2001 Odissea nello Spazio e Matrix, arrivando a scavare negli archivi storici del genere al 1956 con Il pianeta proibito di Fred MacLeod Wilcox). E tutto questo accade a un mese di distanza dall’uscita nelle sale di un film come Her, che è riuscito nell’intento di superare questa accozzaglia di luoghi comuni sulla tecnologia, mostrando come con un’Intelligenza artificiale si possa arrivare non solo a convivere serenamente, ma persino ad innamorarsene. Così quello che viene presentato come una nuova riflessione sui limiti etici della sperimentazione sull’IA e sulle relazioni che intercorrono tra uomo e macchina, si sgretola scena dopo scena, mostrando be presto il suo vero scheletro: la storia di un uomo che si macchia del peccato di hýbris, superando il limite e pagandone le dirette conseguenze. Una sola domanda alla fine: Johnny Depp tornerà mai a recitare in un ruolo che si possa definire degno di questo nome? Attendiamo fiduciosi.

Voto 4

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Carolina Tocci

Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.

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