Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Protagonista di una trentina di pellicole, compreso il capitolo apocrifo realizzato da Roland Emmerich nel 1998, quella di Godzilla è una delle saghe più longeve della storia del cinema. Dal quando comparve per la prima volta nei cinema giapponesi, nel 1954, nella pellicola diretta da Ishir? Honda (Gojira il titolo originale, vocabolo nato dall’unione delle parole “gorilla”, gorilla e “kujira”, balena, ben presto occidentalizzato in Godzilla, trasposizione fonetica americana di come i giapponesi pronunciano gojira), al povero lucertolone ne hanno fatte passare di cotte e di crude. I combattimenti contro King Kong , quelli contro gli alieni, l’evoluzione del suo personaggio da mostro sanguinario a difensore del Giappone contro altre creature ben più minacciose, per non parlare dei frequenti cambi di dimensioni, forma e aspetto. E poi le apparizioni in fumetti, videogiochi, serie TV e chi più ne ha più ne metta, fino ad arrivare alla consacrazione definitiva anche da parte di Hollywood che, dopo cinquant’anni di onorata carriera, gli ha dedicato una la stella sulla Walk of Fame. Ora che di anni ne sono trascorsi sessanta, da quel primo, mitico film, il lucertolone mutante torna al cinema nel reboot firmato da Gareth Edwards, giovane autore dalla sensibilità non scontata, che è stato in grado di far sì che il suo Godzilla incarnasse perfettamente l’eredità spirituale del personaggio primigenio che col tempo era andata perduta.
Girato tra il Canada e le Hawaii e costato ben 160 milioni di dollari, il film ci porta in Giappone nel 1999. In una centrale energetica scoppia una fusione nucleare che obbliga lo staff a prendere misure contenitive e, durante le operazioni di emergenza per il blocco e la quarantena della zona, il dottor Joe Brody (Bryan Cranston) è costretto a prendere la decisione più difficile della sua vita: sigillare l’ultima porta e lasciare la moglie (Juliette Binoche) nel blocco di quarantena. Passano quindici anni, lo scienziato continua a studiare le dinamiche che hanno causato il disastro e scopre che c’è qualcosa di nascosto; nel frattempo, suo figlio Ford (un Aaron Taylor-Johnson tanto pompato quanto monoespressivo), cresciuto senza madre e con un padre ossessionato dal senso di colpa per la scomparsa della moglie, è diventato un ufficiale della Marina specializzato nel disarmare bombe. Ben presto, nello stesso luogo che fu teatro della tragedia anni prima, verranno a galla segreti taciuti per troppo tempo che, nemmeno a dirlo, coinvolgeranno direttamente Joe, Ford e i loro cari.
Gareth Edwards (inglese, classe 1975, qui alla sua prima prova hollywoodiana, ma al suo secondo lungometraggio dopo l’interessante esordio avvenuto nel 2010 con Monsters, sintetizzabile come un film sui mostri senza i mostri, più o meno) mette in scena un vero e proprio kaij? eiga in cui Godzilla non è il l’unico mostro (mini spoiler!). Il regista britannico, che ha anche progettato e creato da solo tutti gli effetti visivi sul suo computer portatile, ha plasmato la figura del lucertolone basandosi su orsi e draghi di Komodo, presentandoci finalmente un Godzilla molto simile a quello delle vecchie pellicole della Toho e lontano da quella sorta di velociraptor che campeggiava nel film di Emmerich. E arriviamo alla tematica ecologista, che poi è l’elemento che fa la differenza tra un qualunque film di mostri e Godzilla. La metafora della creatura che incarna la denuncia dei rischi del nucleare, riflette e amplifica quella diffusa dal film del ’54: lì erano trascorsi una manciata di anni dall’incubo di Hiroshima e Nagasaki, ma qui le influenze arrivano da fatti di cronaca più recente, come lo tsunami del 2004 e la tragedia di Fukushima del 2011. Immagini che abbiamo già visto e vissuto direttamente e, proprio per questo, ancora più spaventose ed evocative. Bravo Edwards, che è riuscito ad attualizzare Godzilla pur mantenendolo fedele all’ iconografia classica giapponese e non disattendendo le aspettative. Unico neo (oltre a un 3D che non fa la differenza), lo script, che trova nei dialoghi piuttosto inconsistenti il peggior difetto di questo riuscito reboot. Poi arriva il grido di Godzilla, da pelle d’oca, a ristabilire gli equilibri e a ricordarci che in fondo sì, è proprio lui il re dei mostri.
Voto 7
Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.
Il reboot firmato da Gareth Edwards omaggia e rispetta l’originale di Ishir? Honda, riportando il re dei mostri agli antichi splendori.
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Godzilla: Resurgence, il teaser del film della Toho | Movielicious