Le origini del male

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Quando si parla di esorcismi al cinema, il primo titolo a cui si pensa è senza dubbio L’esorcista di William Friedkin, adattamento dell’omonimo romanzo di William Peter Blatty che nel 1973 segnò profondamente la storia del cinema e rese insonni le notti di molti spettatori. Indiscusso capofila (insieme, forse a Rosemary’s Baby), del sottogenere demoniaco, il film di Friedkin influenzò in modo profodo tutte le pellicole che di lì in avanti avrebbero raccontato storie di possessioni ed esorcismi, segnando l’avvento di una nuova generazione di prodotti horror in cui il male non risiede altrove, bensì alberga nell’umano. Al lavoro di Friedkin, ispirato a fatti realmente accaduti, ne seguirono infiniti altri che dal capostipite non presero solo spunto per trame incentrate su possessioni di corpi straziati da demoni in essi reincarnati, ma ne imitarono (o meglio, provarono a farlo) lo stile, al fine di rappresentare eventi inspiegabili attraverso una messa in scena che fosse il più realistica possibile, come era riuscito a fare il regista di Chicago, forte di aver mosso i suoi primi passi nel cinema in ambito documentaristico. E’ impossibile tenere il conto di tutte le pellicole che dal ’73 ad oggi si sono ispirate a fatti realmente accaduti, alla ricerca di un’autenticità sempre più cruda e ostentando possessioni veritiere grazie allo stile simil-reale ottenuto con il mockumentary (il falso documentario), tecnica utilizzata in film quali The Blair Witch Project, L’esorcismo di Emily Rose, Paranormal Activity, L’ultimo esorcismo o L’altra faccia del diavolo.



Ad infoltire il filone “esci da questo corpo”, i cui ultimi due rappresentanti di una certa levatura sono stati Insidious e Sinister, è arrivato anche Le origini del male, ambientato nei primi anni Settanta e incentrato sullo studio di un professore universitario (Jared Harris) e tre suoi allievi intenti ad osservare ed analizzare il caso di Jane Harper (Olivia Cook, una simil Christina Ricci), diciannovenne schizofrenica che sostiene di essere posseduta da una presenza demoniaca. Così dopo aver prodotto Blood Story e The Woman in Black, la gloriosa Hammer Productions torna nel mondo dell’occulto e del paranormale con un film che però non le rende del tutto onore.
L’ispirazione per lo sceneggiatore Tom De Ville è arrivata da “un esperimento condotto a Toronto alla metà degli anni Settanta: i ricercatori stavano lavorando all’idea che i poltergeist potessero essere originati da un’energia emotiva particolarmente intensa e, per dimostrarlo, si erano decisi a tentare di creare un essere soprannaturale sfruttando la loro stessa energia emotiva”. Meglio conosciuto come Esperimento Phillip, il test era stato condotto sotto la guida del dottor A.R.G. Owen, un professore inglese, matematico e genetista, che aveva scritto diversi articoli sui fenomeni paranormali e sulla telecinesi. Un ruolo che sarebbe stato perfetto per un Vincent Price o per un Christopher Lee dei tempi d’oro  nonché unico personaggio che nel film di John Pogue (autore del mediocre zombie movie Quarantena 2) possiede una certa complssità emotiva, dato che gli altri interpreti (fatta eccezione per Olivia Cook, sufficientemente inquietante nel ruolo della posseduta) sono poco più che figurine monodimensionali con poca verve e ancor meno espressività.

Buona la confezione, in cui si ritrova l’accuratezza nella costruzione delle scenografie, dei costumi e dei dettagli in genere, permeati di quella certa atmosfera polverosa da horror classico, peccato che Le origini del male non sia né particolarmente originale e nemmeno effettivamente spaventoso. I salti sulla poltrona sono prevedibili e spesso chiaramente annunciati dalla telecamera che indugia su un dettaglio, con tanto di commento musicale crescente a suggerire che lo spavento è dietro l’angolo. Con uno script così telefonato e un finale sin troppo prevedibile è davvero difficile arrivare lontano.

Voto 5

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Carolina Tocci

Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.

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