Annabelle

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John Form (Ward Horton) ha trovato un regalo perfetto per la sua giovane sposa Mia (Annabelle Wallis) in occasione della nascita della loro prima figlia: una rara bambola d’epoca vestita completamente di bianco.
In una notte da incubo i due vengono attaccati, nel loro appartamento, da una coppia di satanisti che, un attimo prima di essere fermati dalla polizia, fanno in tempo ad evocare un’entità che trova rifugio all’interno della bambola.
Da quel momento in poi la vita di John e Mia acquista progressivamente i contorni di un incubo.
Fino al giorno del lieto evento.



Lo scorso anno James Wan, con L’evocazione – The Conjuring, costruiva un meccanismo orrorifico assai efficace attorno alle vicende che vedevano protagonisti i coniugi Warren, una coppia di esperti di presenze demoniache che, in pieni anni Settanta, aiutavano famiglie alle prese con problemi di possessione. Il film è stato un successo e, allo stesso tempo, un immediato veicolo di rilancio per un tipo di horror prettamente d’atmosfera, che andasse a contrapporsi in maniera netta alle ultime tendenze basate sull’escamotage del found footage (Paranormal Activity) o sul ricorso massivo a elementi splatter (Hostel) che ormai iniziavano a mostrare la corda.
In diverse sequenze di quel film faceva capolino Annabelle, bambola vintage posseduta da una malefica presenza, di cui però (come ogni MacGuffin che si rispetti) non veniva approfondita né la genesi né tanto meno la provenienza.
Da qui l’idea di un prequel totalmente incentrato su di lei e su come sia arrivata, attraverso vari passaggi di mano, in una teca del seminterrato dei Warren.
Per l’occasione James Wan si limita a produrre mentre John R. Leonetti, direttore della bella fotografia di The Conjuring, passa in cabina di regia.

Pur se non all’altezza del film da cui trae spunto, Annabelle è comunque un solido bignami di suggestioni seventies, con Rosemary’s Baby a fungere da pietra angolare dell’intero progetto.
Sono svariati gli omaggi a Polanski e al suo capolavoro, a partire dalla metatestualità insistita dei telegiornali dell’epoca incentrati sulle gesta di Charles Manson e della sua Family (autori di una delle pagine più macabre della cronaca nera hollywoodiana, il massacro di Sharon Tate, prima moglie del regista polacco) fino al residence in cui abita la coppia di (sfortunati) protagonisti, così simile in tutto e per tutto a quel Dakota Building in cui venne girato Rosemary’s Baby e – macabra coincidenza – davanti al quale qualche anno dopo venne ucciso John Lennon.
E poi c’è tutto ciò che ci si aspetta di trovare in un film del genere, compresi un sacerdote che ricorda tanto il Max Von Sidow de L’esorcista, una libraia appassionata di satanismo e un neonato a simboleggiare l’innocente vittima sacrificale verso cui il Male indirizza le sue mire.

Detto così potrebbe sembrare la fiera delle banalità, ma Annabelle, nel suo essere derivativo, qualche freccia al suo arco pure ce l’ha.
Innanzitutto ha atmosfere sufficientemente morbose e un’accoppiata montaggio/sonoro che garantisce i giusti salti sulla sedia, elementi che di questi tempi non tutti i film dell’orrore riescono purtroppo a garantire.
E poi c’è una fluidità nel racconto che lo eleva sopra le media delle produzioni di genere e spinge a soprassedere sulla natura telefonata di certi passaggi narrativi e su una sostanziale mancanza di originalità di fondo.
Perché poi, seriamente, chi pretende originalità a tutti i costi da un horror quando basta che spaventi per un’oretta e mezzo scarsa?

Voto 6

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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