Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Katniss Everdeen (Jennifer Lawrence) si trova ora nel Distretto 13 dopo aver annientato i giochi per sempre. Sotto la guida della Presidente Coin (Julianne Moore), del consigliere Plutarch (Philip Seymour Hoffman) e i suoi fidati amici, Katniss sarà la Ghiandaia Imitatrice, volto e simbolo della ribellione di un popolo pronto ad affrontare il perfido Presidente Snow (Donald Sutherland), spiegando le sue ali in una battaglia per salvare Peeta (Josh Hutcherson) e un intero paese incoraggiato dalla sua forza.
Ci risiamo. Ecco un’altra saga narrativa che vede il suo ultimo capitolo uscire in sala splittato, diviso, frammentato in due episodi. Così come era accaduto per Harry Potter e Twilight, anche l’ultimo romanzo della trilogia di Suzanne Collins è stato sottoposto a questa bieca operazione. Di marketing, perché non si tratta d’altro. Così facendo l’attesa si prolunga (anche se avete già letto i libri), gli introiti raddoppiano e i nervi di alcuni saltano. Tra l’altro, come tutte le prime parti della conclusione di una saga, anche questo Hunger Games: Il canto della rivolta – Parte I soffre della sindrome della “parzialità” che contraddistingueva anche il primo capitolo de I doni della morte e di Breaking Dawn, ovvero l’essere, suo malgrado, la trasposizione di una sola parte di libro. Difficilmente dal punto di vista della narrazione filmica può essere considerata una scelta giusta, questa, anche perché questo Mockingjay è un po’ come una pentola a pressione il cui fischio è anelato come il suono di un olifante in battaglia, facendoci rimpiangere quel ritmo serrato che tanto avevamo apprezzato ne La ragazza di fuoco.
Di certo il più cupo e il più angosciante dei film tratti fino ad ora dai romanzi della Collins, Il Canto della rivolta è ambientato totalmente, o quasi, nel Distretto 13, la roccaforte dei ribelli, una sorta di tunnel sotterraneo che si sviluppa in verticale. Senza più i giochi e con due donne, Katniss e la Coin (interpretata egregiamente da una Julianne Moore che continua a non sbagliare un film), entrambe al comando – la prima della rivolta, la seconda dei dissidenti – ci si trova davanti uno scenario completamente diverso e a una protagonista che stentiamo quasi a riconoscere: stanca, impaurita, fisicamente ed emotivamente distrutta, dai giochi come dalla vita, lontana dal suo Peeta, caduto nelle mani del nemico. La Ghiandaia Imitatrice si sta sgretolando, e anche se assistiamo ad alcuni passaggi, i più leggeri e riusciti, in cui vediamo la ex accompagnatrice di tributi Effie Trinket (un’incisiva Elizabeth Banks) e il mentore dal bicchiere facile Haymitch Abernathy (Woody Harrelson) tentare di cucirle addosso costumi e movenze da eroina mediatica, Katniss appare comunque fragile come non mai.
Scegliendo di subodinare l’aspetto puramente action a quello narrativo, Francis Lawrence indugia sui silenzi e dilata un po’ troppo i tempi, delineando ciascun personaggio con toni chiaroscuri mai perfettamente distinguibili e preparando il terreno per quello che sarà il gran finale, almeno è quello che ci auguriamo. Tutto questo abbassa non poco il livello che la saga aveva raggiunto con i primi due film, soprattutto perché non c’è alcun mistero dietro la scelta di utilizzare una pellicola costata 250 milioni di dollari solo come rampa di lancio per quella che seguirà e che non vedremo prima del prossimo novembre.
Voto 5,5
Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.
Intimista, claustrofobico e privo di azione, il prologo del finale della saga è un corpo estraneo non del tutto riuscito.
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