Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Un musicista fallito raduna tutte le persone che, nell’arco di una vita, lo hanno ferito a bordo dello stesso aereo per poi farlo precipitare; una cameriera decide di vendicarsi di un boss che le ha rovinato la vita avvelenandogli il pasto; una lite tra automobilisti si trasforma in un grottesco massacro; un uomo ossessionato dalle multe cerca vendetta ; un incidente d’auto dà il via a una serie di richieste di tangenti ai danni di un magnate della finanza; una festa di matrimonio solo apparentemente idilliaca si trasforma lentamente in un incubo di crescente violenza.
Sei episodi il cui unico trait d’union sembra essere quei punti di non ritorno che, una volta oltrepassati, portano le persone a compiere gesti folli e sconsiderati e la violenza a deflagrare.
Quella stessa violenza che scaturisce quando circostanze tutto sommato ordinarie sfuggono di mano e raggiungono il parossismo.
La vendetta e, più in generale, la volontà di rivalsa verso un sistema cieco che inesorabilmente opprime e logora i nervi.
Il film a episodi dell’argentino Damiàn Szifron, presentato all’ultimo Festival di Cannes e forte della produzione di Pedro Almodóvar, arriva nelle sale italiane ed è davvero una bella ventata di aria fresca.
L’autore costruisce infatti un gioiellino di ferocissimo humour nero che, alternando sapientemente thriller e commedia, con particolare attenzione a non esagerare mai sul versante del grottesco, costruisce una carrellata di storie di ordinaria follia.
Sorta di remake de I Mostri di Dino Risi diretto da Quentin Tarantino, la prima cosa che salta all’occhio è l’estrema cura di alcune scelte registiche e un’attenzione al dettaglio che elevano questo Storie pazzesche (per quanto la traduzione letterale Racconti selvaggi sarebbe stata molto più ficcante) da semplice prodotto d’intrattenimento a film dalla spiccata sensibilità autoriale.
Soprattutto l’episodio del matrimonio – epilogo e, in qualche modo, quasi un film nel film, con i suoi trenta minuti di durata – stupisce per l’eleganza e il respiro cinematografico che non ti aspetteresti in un film così incentrato sulla scrittura e sulla trovata a effetto.
La riuscita del film è aiutata senza dubbio da un cast di prim’ordine, nel quale spiccano alcuni volti già piuttosto noti dalle nostre parti. E’ il caso di Ricardo Darin, protagonista del bellissimo Il segreto dei suoi occhi, Oscar 2010 come miglior film straniero e di Dario Grandinetti che ricordiamo in Parla con lei di Almodóvar.
L’unico neo – ma si tratta davvero di minuzie – riscontrabile in Storie pazzesche è forse giusto la sua durata, eccessiva per il tipo di sollecitazioni che induce nello spettatore.
Se solo Szifron avesse lavorato maggiormente di lima, magari rinunciando al penultimo (e più debole) episodio, avrebbe ottenuto la reale quadratura del cerchio.
Resta il fatto che, un attimo prima che le sale vengano invase dai due cinepanettoni di turno (perché quest’anno sono due) e dall’ultima incursione di Peter Jackson nella Terra di Mezzo, sarebbe davvero un peccato lasciarsi scappare questo antidoto di sana cattiveria a tutta la glassa e al buonismo che stanno per arrivarci addosso in prossimità del Natale.
Voto 7
Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.
Arriva nelle sale la divertente commedia nera prodotta da Pedro Almodóvar. Surreale e grottesca come poche.
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