Gli imperdibili del 2014 secondo Andrea Bosco

Di Carolina Tocci
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10) Il sale della terra (Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado)

Nuova, straordinaria sortita del ragionamento wendersiano su viaggio e prospettiva, analisi sofferta di una graduale perdita e riscoperta di fiducia verso l’Uomo e la Natura che è anche una brillante riflessione sul multimediale da parte di un autore sempre sorprendentemente moderno.



9) A proposito di Davis (Joel e Ethan Coen)

Punto di arrivo del pessimismo coeniano, malinconica e dolcissima parabola sul fallimento e sulla fallibilità dell’individuo, un piccolo romanzo universale degno di Updike che gela le ossa e un’odissea picaresca fra le più devastanti e profondamente umane del cinema del nuovo secolo.

8 ) Il regno d’inverno (Nuri BIlge Ceylan)

Con un linguaggio magniloquente eppure intimissimo, Ceylan affronta il lato più discorsivo della propria poetica e, a metà fra il teatro cechoviano e il kammerspiel bergmaniano, mette in atto l’identificazione di una coppia che è quanto di più vicino alla grande letteratura.

7) The Wolf of Wall Street (Martin Scorsese)

Dietro la maschera del rampantismo, una delle tragedie scorsesiane più nere, inconciliabilmente e cosmicamente crudele: dopo Quei bravi ragazzi e Casinò, il regista italoamericano chiude il trittico con la tappa più caligolesca e farneticante: un rivoltante, nauseante capolavoro.

6) Il giovane favoloso (Mario Martone)

Completamento di un dittico sulla preistoria italiana come specchio e prefigurazione dell’attuale, inesauribile campionario di evocazioni, di immagini e, ovviamente, di poesia di abbacinante modernità che parte dal melodramma viscontiano e approda al dramma della paralisi contemporanea.

5) Under the Skin (Jonathan Glazer)

Composizione astratta che congiunge l’assoluto kubrickiano, la sintesi della videoarte e i tardi malickianismi de-didascalizzati per l’occasione, un’opera totale e sconsiderata che sfida i limiti della narrazione e diventa pura rappresentazione.

4) L’immagine mancante (Rithy Panh)

Sconcertante operazione, precedente e parallela al doppio itinerario di Joshua Oppenheimer che riduce in polvere l’idea di messa in scena artistica e che confuta la struttura soltanto in apparenza oggettiva dell’apparato non-fiction: un film-elegia estremo, forse l’ultimo documentario possibile.

3) Si alza il vento (Hayao Miyazaki)

Irripetibile pietra miliare dell’universo anime tutto e rassegnato testamento poetico con cui Hayao Miyazaki, laicamente e senza elementi fantastici, si congeda dal mondo con un definitivo, autobiografico volo, più che pindarico, d’angelo.

2) The Look of Silence (Joshua Oppenheimer)

Non la costola di The Act of Killing, ma il compimento indispensabile e ancor più disperato di un discorso sulla responsabilità e sulla visione che è soprattutto una dimostrazione di fede nei confronti del fare cinema come atto politico e come atto di preservazione.

1) Due giorni, una notte (Jean-Pierre e Luc Dardenne)

Un lancinante racconto morale sulla solidarietà, sull’empatia e sul sacrificio che si risolve in un minuscolo prodigio di trasparenza e di urgenza portato avanti con la potenza disarmante della grammatica di base dell’espressione filmica: cinema essenziale e diretto come e più dello sguardo umano.

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Carolina Tocci

Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.

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